Lo annunciava già Nietzsche nella sua
Genealogia della morale, l’”odio nato
dall’impotenza” si manifesta spesso in crudeltà ed efferatezza. I non
privilegiati, risentiti verso la ricchezza e la potenza delle classi apicali,
non sono infatti quasi mai animati da un ideale di giustizia o da alti principi morali,
ma semplicemente dal desiderio di partecipare al godimento di quei privilegi da
cui sono rimasti esclusi. Vorrebbero, insomma, sostituire quegli “ordini” sociali
per fare le stesse cose che nella loro condizione di sudditanza disprezzavano.
Magari assumendo, come spesso accade quando i “poveri” fanno qualche passo in
avanti verso il potere, un atteggiamento ancor più intransigente verso quelli
che sono rimasti indietro.
L'odio dell'impotente, del popolo, è quindi spesso più pericoloso del disprezzo dei potenti e degli "arrivati". Lo si vede bene, ad esempio, anche nelle
piccole realtà industriali e lavorative dei giorni nostri, ove l’operaio
promosso a capo officina risulta spesso più “duro” e severo dello stesso datore di lavoro. Non è una novità, tutte le rivoluzioni democratiche, di popolo, sono
infatti nate su bagni di sangue: aristocratici e contadini alleati contro
borghesi, rentier e arrampicatori
sociali di ogni estrazione.
Dal 1793, ad esempio, la protervia giacobina e illuminista tentò
di sterminare definitivamente la popolazione della Vandea, un po’ perché rimase
lealista alla monarchia e un po’ perché voleva continuare ad andare a messa, sostenendo
il clero e la chiesa romana (si stima che furono uccisi 150.000 abitanti – altre
valutazioni parlano addirittura di 250.000 morti - su una popolazione
complessiva di 600.000 persone! Ovviamente con tanto di annegamenti notturni di 2 o 3 mila preti refrattari nell'estuario della Loira, tant'è che uno stesso figlio dei lumi come Andrè Glucksmann la definì: "la prima Glasnost dopo i giorni del terrore").
Il risentimento dei “potenti” di nuova nomina
era più un ferino stimolo di vendetta che la voglia di cambiare davvero uno status quo, ma solo per sostituirsi ad esso (durante la Rivoluzione si arrivarono a compiere atrocità spaventose, ad esempio, la sventurata
marchesa di Lamballe, dopo essere opportunamente passata sotto le "cure" di qualche fervente rivoluzionario, venne stuprata anche da morta). Anche per questo,
quando al bar o nei riottosi talk show televisivi si adombra lo spettro, e
persino l’opzione, di una nuova rivoluzione popolare, nata dal basso, per la
sovranità e per i diritti dei cittadini, talvolta mi viene quasi voglia di tifare per i
privilegiati dagli scranni d’oro e per i conservatori imparruccati.
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