I rifiuti,
specie in un’epoca ove tutto deve ridursi al seducente business del centro
commerciale, sono un affare, una prelibatezza scatologica che non può lasciare
indifferenti i rapaci appetiti dei capitani d’industria, an opportunity. Non si capisce, in tal senso, come cotanti
affaristi ed illuminati speculatori abbiano potuto lasciarsi sfuggire
un’occasione così ghiotta, a portata di mano, da cogliere al volo. Tutto quel bendiddio sprecato, in fondo,
avrebbe potuto rendere bene agli accattoni bendisposti a sporcarsi le mani col
denaro, novella carta igienica per il desueto e luterano “sterco del demonio”.
Spiace rigirare il dito nella purulenta
piaga, ricordando a lor signori la triste verità di un profitto mancato, ma la più grande discarica del globo non si trova nelle caverne di una qualche
sperduta località dai nomi impronunciabili, né ben incassata nel terreno ai
confini di un’inumana metropoli o di una bidonville terzomondista. La più estesa discarica del pianeta si
trova infatti nell’oceano pacifico, a pelo d’acqua, fluttuante tra le onde e le
risacche delle correnti marine: il Pacific Trash Vortex è un’enorme isola di
spazzatura galleggiante accumulatasi
a partire dagli anni cinquanta a causa dell’azione delle correnti oceaniche
(cattive correnti!). Le stime sull’estensione di questo continente di plastica,
ci ricordano la sempiterna Wikipedia e il vaticinante Focus, variano da un minimo che va dalle
dimensioni del Texas, ad un massimo che raggiungerebbe addirittura un’area più vasta
degli Stati Uniti.
E’ l’apoteosi del consumismo “usa e getta”, della compulsiva accumulazione seriale e
della “cultura dell’illimitatezza”,
per dirla con Latouche. Lo stesso
ceppo virulento di cultura che ha trovato nella crescita esponenziale, aritmetica, infinita, il Vitello d’oro per i
propri bisogni esistenziali, l’idola sbracato
a cui riferire ogni azione e scelta individuale (è l’etica cenciosa del “chi ce
l’ha più grosso” declinata al globo intero. Ma che importa se, per un brandello
di benessere materiale in più, l’ipertrofia del membro dissangua l’organo
preposto al buon senso? La ricetta ad ogni male è sempre il de-vertimento pascaliano: meglio non pensarci per continuare
bellamente a consumare edonisticamente).
Se si appartiene quindi alla nutrita risma
(vedi Chicco Testa) di coloro che romanticamente credono che la natura
sia cattiva e l’uomo sia solo un innocente contrappunto in balia della brutalità
di Gaia, si potrebbe persino sospettare che questa zattera di monnezza sia solo un effetto collaterale, il beffardo
gioco di quelle “disumane” correnti con l’abitudine allo scherzo. Più verosimilmente
il Trash Vortex è solo l’effetto
della protervia consumistica moderna.
Quella che pretende di produrre e consumare ad un ritmo sempre più
incalzante, per tenere in piedi il putrescente carrozzone dell’economia “buona”, quella capitalista, produttiva di spazzatura rendicontabile, e innovatrice
(che i rifiuti siano una risorsa è
solo l’ultima moda della solita stantia retorica del profitto: sono risorse
solo perché fanno fare soldi, quando non portavano ad un guadagno venivano,
appunto, lasciate andare alla deriva).
In attesa che i menestrelli del vapore,
i cantori della tecnologia e i tonti
Candide fideo-scientisti, gli stessi per cui la tecnica reclama più tecnica per
risolvere i problemi da essa stessa creati, aggiornino le loro pie soluzioni,
non ci resta che tifare per Gaia. Speriamo che tagli il traguardo prima di
questi bifolchi tecno-bulimici, per
rendere finalmente all’homo oeconomicus la
meritata pariglia.
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