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lunedì 4 aprile 2016

Le metropoli e la vita dello spirito: da Simmel ai centri commerciali

La modernità è l’epoca in cui il mutamento si fa norma e tutto ciò che è solido si dissolve nell’aria.
G. Simmel

La metropoli non è una dimensione abitativa spersonalizzante, né una gelida città senza confini. La metropoli è piuttosto uno stato metafisico che ha assorbito lo spirito dell’uomo sino a renderlo apolide: senza una patria esistenziale a cui riferirsi come abitante, è ridotto a confondersi anonimamente nella vastità silenziosa di una sterminata folla di uomini e di prodotti.   
Un po’come L’uomo della folla narrato da Poe aspira a tutti i germi e ad ogni effluvio della vita per curiosità, oggi persino quel desiderio di cosmopolitismo viene a mancare, stritolato da una velocità che non permette nemmeno più di contemplare l’informe folla spersonalizzata dalla vetrina di un café parigino.

La metropoli quindi come tropo dell’esistenza concreta, “metafora esistenziale” dell’uomo moderno, così radicalmente assimilata al soggetto da destrutturarne la centralità introspettiva, imperativo comportamentale dietro al quale non c’è più la volontà del soggetto, bensì l’ondivaga ed instabile inerzia della metropoli stessa quale materializzazione di uno stato d’essere, che nella sua inconsistenza esistenziale genera vertigine e smarrimento. La metropoli è quindi il soggetto, ma un soggetto parziale, sempre precario: l’instabilità delle relazioni sociali, la transitorietà delle esperienze, l’iperbolica velocità nel consumare ogni rapporto umano che ha stabilito un valore nella quantità, o meglio in ogni qualità che sia misurabile, prostituibile, comunicabile e spendibile sul mercato della vita (l’intelletto, sempre secondo Simmel “è orientato essenzialmente al calcolo”), si ergono a sommi principi morali per l’uomo della metropoli, ché nel suo essere tale gli è preclusa la capacità di discernere tra una scala gerarchica di valori, autonomamente prescritti dalla propria coscienza.
E’ il tipo moderno di blasè, l’abitante della metropoli disincantato e annoiato descritto da Simmel nella sua Le metropoli e la vita dello spirito, che: “consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alle differenze fra le cose per cui tutto appare opaco e uniforme”.

Lo spirito della metropoli che Simmel descrive, assume nella contemporaneità, nel quotidiano vissuto, caratteristiche peculiari che si alimentano di una propria autonoma significazione. E così anche le metropoli del XXI secolo sono progredite in una dimensione più ampia, globale. Allargatesi spettralmente, quale modo d’essere, anche alle regioni non urbane, hanno finito per trasformare persino la gente di un paesino di provincia in un’appendice di metropoli (per Baudelaire, infatti: “l’uomo ama talmente l’uomo che quando fugge la città, è di nuovo per cercare la folla, cioè per rifare la città in campagna”).

L’uomo della folla, così come l’uomo del sottosuolo dostoevskjiano è: “moralmente tenuto ad essere una creatura sostanzialmente priva di carattere. Egli infatti, non avendo una forma soggettiva stabile, può abbracciare qualsiasi morfologia esterna, aderendovi, adagiandosi di volta in volta allo stampo da riempire. Un sacco vuoto, insomma, sterilmente opacizzato nella moltitudine, luogo fertilmente adatto all’aborto del soggetto.

uomo blasé

E così quell’uomo inconsistente si fa concavo e convesso in relazione alla situazione che il suo sguardo incontra nel mondo, giacché non possiede una forma propria, ma solo la consapevolezza di ciò che la vita abbisogna per conservarsi. La sua presunta forza consiste in questa malleabile ed elastica mancanza identitaria, che gli permette di avvolgere ogni morfologia esterna per farla illusoriamente propria. Bombardato da un'enorme quantità di chocs esterni e da un eccesso di stimoli - ha già visto tutto – è però incapace di assimilare quegli estrogenati input che gli derivano dalla mondanità: per Simmel è il prodotto di “quella costellazione di forze che spingono verso l’indifferenza nei confronti di tutta la varietà qualitativa delle cose” (come anche il tipo moderno e mediocre reiteratamente narrato da Nietzsche: “troppo e troppo poco. Oggi gli uomini vivono troppe cose (…) hanno insieme fame e colica, e perciò diventano sempre più magri per quanto mangino”).

Non possedendo un proprio appetito cerca quindi nutrimento nella quantità delle esperienze messe a disposizione della folla, avvitandosi nel vorticare quotidiano che ormai la velocità e l’abitudine hanno deprivato di ogni gradazione (ancora Simmel ci parla dell’intellettualismo derivante dalla sovraesposizione ai meccanismi monetari che circonfondono l’uomo metropolitano: “l’essenza dell’essere blasé consiste nell’attutimento della sensibilità rispetto alle differenze fra le cose (…) al blasé tutto appare di un colore uniforme, grigio, opaco, incapace di suscitare preferenze).

Il blasé di Simmel è quindi il riflesso dell’oggettivazione individuale, la manifestazione plastica di come l’economia monetaria si sia ferocemente instillata all’interno di ogni stato d’animo sino ad erodere, progressivamente, persino l’umanità e lo spirito delle persone: “nella misura in cui il denaro pesa tutta la varietà delle cose in modo uniforme ed esprime tutte le differenze qualitative in termini quantitativi, nella misura in cui il denaro con la sua assenza di colori e la sua indifferenza si erge a equivalenza universale di tutti i valori, esso diventa il più temibile livellatore”. Come il denaro che ci fa capire anche quanto valiamo come esseri umani; come prodotti sospesi sugli scaffali di un supermercato; come pezzi di carne che galleggiano nella hall di qualche centro commerciale o di qualche agenzia interinale, anche l’uomo odierno si vende a peso e a bocconi. E' un nulla libero, di una libertà che rappresenta tutte le cose, ma che non sa e non vuole sceglierne nessuna, come il denaro ("la scelta è un'ecatombe di possibili"!). 

Indifferenti come l’uomo metropolitano, oggi abbiamo tuttavia qualcosa con cui rallegrare la nostra mancanza di spirito: laddove il dandy blasé viveva nell’anonimato di una folla metropolitana, noi possiamo bearci di vivere nell’anonimato virtuale dei social network, dei What’s up, degli iban, dei pin e dei puk, dei bit e dei byte. Anonimi e schedati!


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