In Italia, e più genericamente in tutti i paesi
“civili” occidentali, il settore terziario (quello che si riferisce ai servizi)
vale oltre il 75% del Pil. Si viaggia quindi, seppur con qualche battuta
d’arresto provocata dalla crisi economica incalzante, verso un mondo dominato,
in qualsiasi ambito dell’esistenza, da nuove e sempre più professionali
baby-sitter. C’è da chiedersi, a tal proposito, se quest’ipertrofia di servizi
sia davvero una conquista sociale, di civiltà, morale (“autonomo” e “morale”
sono due termini che si escludono a vicenda), o se sia invece una nuova
rivisitazione di Blade Runner, che serve forse altri interessi più nascosti e
pericolosi.
Essere serviti è forse sempre stata l’ambizione, mai
totalmente conquistata sino ad ora, di tutti quegli uomini che hanno
sempre e solo voluto "servire" ("voglio essere utile alla società"! - alias servire - ne è il "volgare" grido di disimpegno). Ma qui non si tratta solo di considerazioni che
pertengono ad una vaga sfera antropologica, o psicologica se si preferisce, le
implicazioni di questa sindrome riguardano invece aspetti del tutto “pratici”,
quotidiani, sotto agli occhi di tutti.
Se da una parte potremmo forse sospettare che lo
sviluppo dei servizi e il proporzionale incremento di servi salariati che a loro volta si
fanno servire da altri loro pari, venga incontro al bisogno di tutti coloro che,
sempre meno consapevoli della propria individualità, sono persino bendisposti a
sbarazzarsi gratuitamente di quel singolare “peso”, dall’altra parte, disporre
di più servizi e prestazioni significa anche accettare che il mondo del terziario e
lo Stato divengano il mio tutore in tutto e per tutto, la mia badante a
tempo pieno.
La certezza che alla fin fine ci pensi
sempre un altro è certo rassicurante, ma ci deresponsabilizza in quanto persone,
singoli (è pur vero che spesso questi stessi individui non vogliono alcuna
responsabilità. Meglio il disimpegno, meglio pascere nel consolante giaciglio
di una comune e grigia appartenenza, meglio occultarsi nell’anonimato del
“noi”, anziché riscoprirsi autonomi attori del proprio volere).
E così l’aumento esponenziale dei servizi si risolve spesso in una minore autonomia individuale, quella peraltro fortemente bramata da tutti coloro che non hanno mai voluto, o si sono stancati, di ogni qualsivoglia indipendenza. Per dirla insomma con Nietzsche: “nella collettività democratica, dove ciascuno è specializzato, manca infatti il “perché?”, “per chi?”, la classe in cui tutti gli immiserimenti di tutti gli individui (ridotti a funzioni) acquistano un senso”.
E così l’aumento esponenziale dei servizi si risolve spesso in una minore autonomia individuale, quella peraltro fortemente bramata da tutti coloro che non hanno mai voluto, o si sono stancati, di ogni qualsivoglia indipendenza. Per dirla insomma con Nietzsche: “nella collettività democratica, dove ciascuno è specializzato, manca infatti il “perché?”, “per chi?”, la classe in cui tutti gli immiserimenti di tutti gli individui (ridotti a funzioni) acquistano un senso”.
A tal proposito Durkheim, in Della
divisione del lavoro (il principio originario, se non altro nelle modalità, che
presiede al bisogno di disumanizzarsi in ingranaggi, solo per poter poi soddisfare un finto benessere comune
che non vuol tenere conto dell’uomo stesso), sosteneva che nelle società moderne, in cui la divisione del lavoro è fortissima, la solidarietà comune si sarebbe
fondata sulle differenze tra gli individui e tra i gruppi e non invece sulla
loro appartenenza ad un qualcosa di comune: essi stanno insieme perché nessuno
è autosufficiente e tutti dipendono in qualche modo dagli altri. Convivono perché
conviene loro farlo, o non possono permettersi di farne a meno (il che è lo
stesso).
Dipendere quindi dagli altri, non essere autosufficienti e non poter nemmeno
pensare di esserlo, sembra il mantra “collettivista” di questa nuova società
fatta da suorine operose prive di qualunque generosità che non si faccia ben
pagare.
Da questo punto di vista si potrebbe addirittura sospettare che l’aumento dei servizi sia solo venuto incontro ad un bisogno connaturato alla stessa natura umana, ovvero quello di rendersi dipendenti per paura di riscoprirsi poi autonomi, singoli, soli: la solita millenaria necessità di sollevarsi dalle proprie responsabilità per continuare a vivere bellamente in una prigione dorata d’inconsapevolezza: come un carcerato ammette di essersi scelto la propria suadente prigione perché ama una quiete che solo la sicurezza coatta può dargli. E così, democraticamente, abbiamo preferito delegare agli altri responsabilità ed impegni che sarebbero invece i nostri.
Abbiamo preferito essere un nulla consapevole della propria stessa nullità e farci servire, passivamente, solo per non dover ammettere che l’unica cosa che ci siamo scelti è proprio il nostro carceriere… e la nostra ap-pagante viltà.
Da questo punto di vista si potrebbe addirittura sospettare che l’aumento dei servizi sia solo venuto incontro ad un bisogno connaturato alla stessa natura umana, ovvero quello di rendersi dipendenti per paura di riscoprirsi poi autonomi, singoli, soli: la solita millenaria necessità di sollevarsi dalle proprie responsabilità per continuare a vivere bellamente in una prigione dorata d’inconsapevolezza: come un carcerato ammette di essersi scelto la propria suadente prigione perché ama una quiete che solo la sicurezza coatta può dargli. E così, democraticamente, abbiamo preferito delegare agli altri responsabilità ed impegni che sarebbero invece i nostri.
Abbiamo preferito essere un nulla consapevole della propria stessa nullità e farci servire, passivamente, solo per non dover ammettere che l’unica cosa che ci siamo scelti è proprio il nostro carceriere… e la nostra ap-pagante viltà.
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