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venerdì 14 agosto 2015

Nietzsche, nichilismo e trottole

Era il 1876, quando Nietzsche annunciava senza troppi fronzoli ne La gaia scienza la “morte di Dio”. Da quel lontano XIX secolo non ci siamo accontentati di ammazzare esclusivamente la sfera metafisica, ci siamo fatti prendere la mano freddando via via, “progressivamente”, anche ogni valore condiviso, sia morale che culturale. E’ vero, l’idea di Nietzsche e del suo nichilismo attivo, l’atteggiamento nato da quella terribile e disillusoria “verità” ("tutto è caos"), era lungi dall’essere una sbadata dichiarazione di disimpegno, un facile ”affrancamento” da quei vincoli che fungevano da cardini esistenziali, rassicuranti “stelle polari” a cui volgere lo sguardo per trovare un fine e un senso all’esistenza: era al contrario un’amara presa di coscienza, una volitiva accettazione delle “regole del gioco”, un sì alla vita incondizionato, l’opportunità di sostituire quegli dei ormai logori e mortificanti con sé stessi, senza tuttavia mai liberarsi della vita: “se non facciamo della morte di Dio una grande rinuncia e una perpetua vittoria su noi stessi, dovremo pagare questa perdita”.


Il “nichilismo attivo” non libera, ma vincola, dacché lo “spirito libero” ama solo ciò che è necessario (l’amor fati nietzscheano non è un rassicurante “fare tutto ciò che si vuole”, bensì un “volere tutto ciò che si fa”). Quest’”uomo moderno” che non trova più nel mondo una finalità e uno scopo a cui aderire non è tuttavia un essere immorale, come è invece il killer contemporaneo che brama la morte di tutto ciò che lo riporti alla “passione” per la vita. 

Quell’"uomo volitivo", sostituendosi a Dio e ad ogni alterità metafisica, diviene “responsabile di tutto ciò che vive. Per dirla con Camus: “al termine della massima liberazione, Nietzsche sceglie dunque la massima dipendenza”.

Oggi invece, nell’epoca della post-modernità liquida, atomizzata, frantumata e virtuale, abbiamo ucciso cogli dei anche ogni valore e fondamento che tentasse di dare un senso ad una vita che ne risulta spesso priva. E lo abbiamo fatto senza tuttavia aver sostituito a quelle mummie morenti nuovi valori sostanziali. Senza fondamenti, cardini, fini, obiettivi e sensi – anche illusori – da inseguire, l’uomo si è perso in un labirinto vorticoso di pin, di bit, di byte, di puk, di numeri e di conti - anonimi ma schedati, senza identità ma con password certificante, nullificati ma con valore di mercato, risorse umane senza essere uomini -. Troppo fragile e malaticcio per intraprendere da solo la via del superomismo nietzscheano, quest’uomo tecnologico sembra aver preferito un sicuro nulla ad un incerto qualcosa. Sfuggito alle grinfie di Dio, ha sostituito quella sicura prigione metafisica con una prigione razional-economica, facendo logica-mente di ogni quantità misurabile la nuova “legge di Dio”. In fondo, quest’uomo retrocesso a strumento nelle mani di un meccanismo che lo sovrasta, desidera poche cose e spesso facilmente raggiungibili: il semplice benessere da salotto, quello giustificato dal “dio quattrino” dominante.

E così il progresso, assieme alle sue ancelle tecnologia e economia, ha vinto con ampio distacco la partita dei valori. Ma lo ha fatto a caro prezzo, proprio a discapito dell’uomo. Retrocesso a vittima di un marchingegno che lo imprigiona schiacciandone l’umanità (che bello il comfort delle prigioni dorate!), sembra persino compiacersene. Eppure, mentre il Dio e le “tavole di valori”, peraltro spesso largamente condivise dall’uomo metafisico preindustriale, stavano in piedi grazie a “certezze” assolute, e venivano riconosciute proprio in virtù di un monolitico pregiudizio, quello fondato sulla superstizione e sulla pelosa autorità dell'ipse dixit, oggi, al contrario, il nostro mondo liquefatto e disciolto sta in piedi solo perché è completamente inattaccabile (come si può d’altronde colpire qualcosa che si è voluto rendere un nulla “consapevole” per stare al riparo e permanere così nel suo stesso nihil? Colpire il vuoto è impresa insensata, se non si è della parrocchia del Cern o fan di qualche vate con velleità scientifiche).

Un mondo senza senso ma che tuttavia funziona – potrebbe non a torto obiettare qualche dietologo esistenzialista -. Ma funziona proprio perché non prevede la variabile “uomo”. L’unica variabile impazzita, non “es-perimentabile” perché irriducibile a quantità oggettive, non semplificabile in uno schema (checché ne pensino quegli orripilati ed impauriti dalla realtà: gli psicologi e gli psicanalisti), non calcolabile secondo parametri e protocolli prestabiliti.

nichilismo volitivo

Se l’uomo fa quindi paura ai pii scientisti di oggi, basta quindi cassarlo, rimuovendolo come si fa con ogni cosa che possa inficiare la correttezza delle loro algide teorie ontologiche. 

Muore quindi l’uomo, ma nascono al contempo la scienza e la sua “app” umanoide: il mercato. E il mercato è la più grande invenzione dalla modernità post-nietzscheana. Il nuovo "nichilismo passivo" dei nichilismi. Un’illusione prospettica per cui c’è bisogno di aumentare a dismisura la velocità per far rimanere in piedi l’intero meccanismo (anche quello economico: il Pil, ad esempio, viene calcolato soprattutto in virtù della velocità degli scambi e del consumo!). Un po’ come una trottola vortica su sé stessa appoggiata ad un fondamento che ha una superficie piccolissima, il mercato si regge sulla sua inconsistenza aumentando il moto centrifugo/centripeta. Ma appena rallenta... 

E la velocità è diventata così, sbrigativamente, la nuova dea a cui unanimemente prostrarsi (“il tempo è denaro” disse quel calvinista di ritorno di Jefferson). Tutto deve quindi fluire velocissimamente sotto i miei occhi intorpiditi, affinché io, non accorgendomi di ciò che sto osservando, non mi ponga problemi su quel che ho appena visto (vediamo un sacco di cose ma non ne assimiliamo nessuna. L’uomo moderno, come disse ancora Nietzsche, ha “insieme fame e colica). 

Reggersi in piedi vorticando senza senso su sé stessi, è in definitiva il metodo che ha determinato il successo del mercato e del denaro. La buffa storia dello stesso ominide contemporaneo, quello che ha preferito affrancarsi da Dio solo per trovare nuovi dei più funzionali alla sua nichilista voglia di narcolessi esistenziale.

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