Aristotele
e il suo principio di non contraddizione non hanno mai, evidentemente, fatto
visita al premier Renzi. Come la pletora di parlatori e ventriloqui che si
muovono grottescamente sulla scena politica da anni, anche l’ormai ex rottamatore Renzi sembra aver
imparato bene la lezione della “ragion
di Stato” (non quella machiavellica, bensì quella contemporanea dell'"esclusiva" conservazione del proprio status quo).
Non si capisce infatti come Renzi possa affermare che “fuggire dal dibattito denota mancanza di serietà”, in merito alla
votazione sul disegno di legge costituzionale, e contemporaneamente non andare a votare al referendum abrogativo sulle
trivellazioni in mare. Il voto, evidentemente, piace solo se scontato,
favorevole e compiacente.
Ma un
qualsiasi premier incaricato, anche se non eletto, dovrebbe anzitutto favorire l’espressione del popolo e il
confronto con esso, perché ogni consultazione, fuor di retorica, è sempre
un qualcosa che aiuta a promuovere la vita civile e democratica di un paese
(come peraltro anche il Presidente della Corte Costituzionale e il Presidente
della Repubblica hanno prontamente ricordato a Renzi). Ma per chi vuole fare “tanto per fare”, per colui che pare seguire la poco riflessiva logica del “purché
si faccia” e della nuova e di tendenza “democrazia che decide” (detto in altri
termini: una democrazia che non metta il bastone tra le ruote agli interessi
economici e lobbistici), la vecchia cara democrazia
rappresentativa, assieme alla sua liturgia consensuale, diventano solo vetusti
e logori orpelli da bypassare, fronzoli inutili e dannosi per l’azione di
Governo. E’ pur vero che, come dice Renzi citando impropriamente
Calamandrei “una democrazia che non decide
può essere l’anticamera della dittatura”, ma può essere altrettanto
pericoloso chi crede che vi siano gesti democratici buoni, sani, di serie A, e
altri invece dannosi, che vanno magari osteggiati. Ma a chi importa, in fondo, della democrazia e dei suoi riti?
L’uomo democratico, specie oggi, è chiamato ad
indossare, simultaneamente, il vestito della democrazia rappresentativa e
quello dell’economia capitalista di mercato. E’ invitato a scegliere se destinare il
proprio prezioso “tempo libero” per partecipare ad un referendum, o se invece
andare a fare un po’ di “sublimante” shopping fine settimanale. La verità è che a noi interessa poco o
nulla della democrazia, ci interessa invece tantissimo delegare senza
accollarci però le responsabilità e i doveri che presiedono alla delega. Ci
frega che le cose funzionino, che siano efficienti, ma che le facciano
funzionare gli altri… e poi magari guardare quelle cose da lontano, con le
tasche e la pancia piene, sicuri di non essere disturbati sino alla prossima
tornata elettorale. In definitiva, ci interessa, quando va bene, esclusivamente
il benessere materiale, ma solo il nostro!
Come
forse ne soffre Renzi, anche noi siamo così afflitti della sindrome degli uomini iperattivi: “abbiamo da fare” e
vogliamo che si faccia qualcosa, qualsiasi cosa, “purché la si faccia” in fretta. Chissenefrega se “quelle cose”
vengono fatte anche bene, sensatamente: il mercato e il Pil, d’altronde,
non si misurano in qualità, bensì in quantità e velocità! L’epidemia e la
nevrosi collettiva degli “uomini fatti”!
Parafrasando Crozza, che nei suoi lucidi sfottò ne ha dato una
descrizione precisa: un po’ come chi, dovendo ristrutturare casa, porta il cesso in salotto pur di far qualcosa…
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