L’occidente,
almeno nell’appallante ed ormai vintage storia del suo pensiero, ha sempre
visto nella logica un cardine a cui riferire le proprie azioni. Oggi,
non sembra essere più così, specie in Italia. In tal senso non si
capisce come da una parte le Regioni vengono nobilitate al rango senatorio
dalla nuova legge costituzionale, tant’è che si parla persino di un Senato
delle Regioni (74 senatori su 100 saranno infatti Consiglieri regionali), mentre
dall’altra vengono invece sdegnate
quando una decina di esse decidono di mettere il bastone tra le ruote al Governo Renzi chiedendo un referendum per
l’abrogazione di una norma contenuta nello “sblocca Italia”. Misteri del logos-pensiero.
Molto più
verosimilmente, l’unica logica, trasversale ed elementare allo stesso tempo, che
sembra animare il dinamismo dell’esecutivo trendy, prevede che siano buoni e giusti solo coloro che appoggiano la loro
azione di Governo, che gli e lo “servono”. Tutti gli altri sono gufi e disfattisti, inutile ciurmaglia
incapace di comprendere le proposte dogmatiche del nuovo guru, e di condividerne
poi i risultati.
E mentre
incalza lo scontro istituzionale con le Regioni
“cattive”, col tempo ormai agli sgoccioli e Renzi che invita all’astensione
sulla falsariga del Craxi d’antan che raccomandava agl’italiani di
andare al mare, anche il Consiglio di Stato interrompe il silenzio per
negare l’election day (l’accorpamento della consultazione referendaria con le
votazioni amministrative di giugno per risparmiare qualche milione di euro e
promuoverne la partecipazione).
- Troppo
tardi per cambiare il calendario – pare ne sia la motivazione.
Al di là
delle beghe istituzionali, è infatti pratica ormai consueta, per chi manifesta la volontà d’intralciare il
raggiungimento del quorum, spostare il referendum in modo tale da
scoraggiarne l’affluenza, magari in calde e soleggiate domeniche d’estate (se
solo si potesse, il sogno sarebbe far votare addirittura a Ferragosto o a Natale).
La motivazione, nemmeno troppo velata,
che sottende tali sabotaggi, è la scarsa considerazione che taluni hanno del popolo
in quanto corpo elettorale autonomo e pensante. C’è infatti chi crede, non
senza ragioni peraltro, che il popolo sovrano sia anzitutto un popolo bue, eternamente minorenne:
- meglio la spiaggia, o lo shopping, agli asettici cameroni in cui sono spesso
collocate le urne – tuonerebbe probabilmente il minus habens infastidito. A tal proposito, non sarà forse un caso
se il termine “populismo” è ormai diventata la massima ingiuria politica
da affibbiare all’avversario di turno.
Il quesito referendario, al netto delle
markette e degli spot che stanno intasando i media compiacenti, non è tra combustibili
fossili ed energie rinnovabili.
Messa così sembrerebbe infatti la solita generalizzazione buona per i
gonzi, siano essi allarmati ambientalisti o ottimisti razionalisti.
Gli elettori, qualora decidessero di
esercitare i propri diritti e doveri anziché recarsi a prendere il sole,
dovranno invece votare su una questione piuttosto tecnica
e circoscritta. Saranno chiamati a decidere se i permessi per estrarre
idrocarburi in mare, entro 12 miglia dalla costa (circa 20 chilometri),
dovranno durare fino al termine di scadenza della concessione, come avviene tuttora, oppure fino all’esaurimento del giacimento stesso. Detto in soldoni: se
vincessero il no o l’astensione, la concessione si prolungherebbe fino
all’estrazione dell'ultima goccia del giacimento (le
piattaforme, è meglio specificarlo, non chiuderanno quindi i battenti, come paventa invece qualche barone del vapore).
Da qui
il ragionevole dubbio che ad esempio l’Eni,
che poi è anche la compagnia che detiene la maggior quantità di pozzi e concessioni,
potrebbe scientemente decidere di lasciare uno
sputo d’idrocarburo nel giacimento di turno per non provvedere alla bonifica e al ripristino ambientale del sito previsti dalla
legge (con ovvia convenienza economica per le compagnie petrolifere). Una concessione sulla quale, a quel punto, spetterebbe esclusivamente alle lobby energetiche decidere, procrastinandone i tempi a
piacimento.
Ma si
sa, anche prima di Mattei, mamma Eni
ha sempre avuto più di un santo in paradiso (l’Amministratore delegato viene ad
esempio nominato dal Governo), come forse suggerisce anche la sgradevole querelle su Regeni di questi ultimi
tempi (non è un mistero - ma tanto non te lo dice mai nessuno -, che da poco
Eni abbia ricevuto l’ok da parte del Governo egiziano per lo sfruttamento di
uno dei più grandi giacimenti di gas naturale scoperti, Zohr, di fronte alla
foce del Nilo: una cosa tipo 850 miliardi di metri cubi di gas in un’area di
circa 100 km quadrati).
Tra i
maggiori rischi derivanti dalla vittoria del sì, almeno prestando ascolto ai venditori di fumo che sobillano
democraticamente l’astensione, vi sarebbe in particolar modo il rischio di perdere migliaia di posti di
lavoro.
Diecimila, undicimila, tremila senza indotto, a secondo delle più o meno accurate stime di costoro (è bene, a questo punto, esercitarsi con un po' di logica spiccia: dato che il quesito referendario chiede l’abrogazione di una norma contenuta nello “sblocca Italia”, e dato che lo “sblocca Italia” è del 2014, la domanda giunge spontanea. Ma prima del 2014 dov'erano quei famosi posti di lavoro che rischiamo ora di perdere? Non li ha creati certamente ex novo lo "sblocca Italia", c’erano già! Ergo, lo "sblocca Italia" non crea né conserva posti di lavoro, così come non li fa perdere la vittoria del sì al referendum. Le concessioni, infatti, si potrebbero sempre rinnovare e rinegoziare!).
Diecimila, undicimila, tremila senza indotto, a secondo delle più o meno accurate stime di costoro (è bene, a questo punto, esercitarsi con un po' di logica spiccia: dato che il quesito referendario chiede l’abrogazione di una norma contenuta nello “sblocca Italia”, e dato che lo “sblocca Italia” è del 2014, la domanda giunge spontanea. Ma prima del 2014 dov'erano quei famosi posti di lavoro che rischiamo ora di perdere? Non li ha creati certamente ex novo lo "sblocca Italia", c’erano già! Ergo, lo "sblocca Italia" non crea né conserva posti di lavoro, così come non li fa perdere la vittoria del sì al referendum. Le concessioni, infatti, si potrebbero sempre rinnovare e rinegoziare!).
E proprio questa paura di lasciar per strada migliaia lavoratori,
al netto della polemica specifica sul referendum
delle trivelle, è invece una questione sostanziale, di valori, o meglio tra
cosa consideriamo un valore e cosa no. Oggi,
ove tutto è misurabile, quantificabile, riducibile ad oggettivo numero e
calcolo razionale, ogni cosa, dalla cultura ai sentimenti umani, deve trovare
una collocazione sul mercato.
E' un po', se si vuole, quel "cretinismo economico" di cui parlava a suo tempo Gramsci: nella contemporaneità tutto diventa economia e merce. E il lavoro, checché ne dica la nostra “bella” Costituzione, non fa certo eccezione: il lavoro è anzitutto il sistema per procurarsi un reddito da impiegare per “fare girare l’economia”, e per fare bene la “propria parte” nel sociale. - Specie di questi tempi, che di lavoro ce n’è bisogno come il pane! – reclama l’omuncolo oeconomicus.
E' un po', se si vuole, quel "cretinismo economico" di cui parlava a suo tempo Gramsci: nella contemporaneità tutto diventa economia e merce. E il lavoro, checché ne dica la nostra “bella” Costituzione, non fa certo eccezione: il lavoro è anzitutto il sistema per procurarsi un reddito da impiegare per “fare girare l’economia”, e per fare bene la “propria parte” nel sociale. - Specie di questi tempi, che di lavoro ce n’è bisogno come il pane! – reclama l’omuncolo oeconomicus.
Da qui
l’ormai metodico – e a cui abbiamo voluto, vilmente, fare il callo – aut
aut e ricatto: o i posti di
lavoro o i diritti dei lavoratori (Marchionne et similia), o il lavoro o la salute (Ilva et similia), o il lavoro o l’ambiente (trivelle, discariche,
inceneritori di ogni sorta), ecc….
Siamo
ormai costretti – e ci va bene esserlo, ché
la posizione “retta” è la più comoda – a scegliere tra il rischio di
perdere il salario o quello di rimetterci invece qualcos’altro.
Diciamocelo,
una volta per tutte: pur di mantenere un posto di lavoro siamo disposti a
tutto.
Siamo
così disposti a sottometterci,
magari tessendo le lodi del beato imprenditore, a trascurare la nostra
dignità personale, perdendo persino contatto con noi stessi. Perché in fondo, te lo insegnano a scuola e in ogni
famiglia bene, è così che si fa. Si
hanno doveri solo verso chi ti paga. Come una puttana qualsiasi.
E viene
infine il dubbio che le trivelle non
siano costruite per i giacimenti di gas naturale o di petrolio, ma per
mantenere la viltà di un popolo colluso,
ormai rassegnato, belluino, molliccio, perennemente ad angolo retto ed umanamente in decomposizione.
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