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lunedì 18 aprile 2016

Globalizzazione e immigrazione

Il mondo sembra essere in preda ad una nevrosi collettiva. Dai tecnocrati dietro le quinte che tutto governano, fino ai più modesti bar di provincia, pare che gli uomini abbiano totalmente perso la bussola. In questa dimensione parallela in cui il caos si riprende la giusta rivincita sulla logica deterministica, gl’individui, schizofrenici simulacri in balia degli eventi, non sanno più nemmeno mettere d’accordo loro stessi quando vengono chiamati a dare un giudizio sul rapporto che mantengono col mondo.
E così, superficialmente, posti di fronte al più grande cambiamento degli ultimi decenni, non riescono neanche a capire se la globalizzazione sia effettivamente un bene, come le suorine liberiste hanno sempre spiegato loro, o se sia invece una piaga biblica.

Dal 1994, data di nascita del Wto (World Trade Organization) e anno delle morte del Gatt, le merci possono circolare in lungo e in largo per il mondo senza nessuna restrizione e vincolo.
Nasce il mondialismo dei consumatori, ad ogni latitudine, dall’Occidente “progredito”, passando per la Russia post caduta del muro, sino ai nuovi mercati emergenti. Nessuno è escluso, anche i paesi “poveri”, quelli del terzo e del quarto mondo, possono andar bene se utili a piazzare qualche prodotto (o per scaricare gli effetti inquinanti, distruttivi, e anche inflazionistici, sui paesi di serie B).

flussi migratori e scambio merci

Rispondendo esclusivamente alle subdole logiche del mercato globale, le merci, da quel momento in avanti, possono quindi girare indisturbate per andare a trovare la propria collocazione sul mercato in cui riescono a strappare il prezzo migliore (da qui le insanabili contraddizioni, con buona pace anche del baraccone Expo milanese, per cui c’è chi, sfortunatamente, fa la fame, e chi invece può sprecare cibo rimpinguando i cassonetti dell’immondizia).
La globalizzazione economica e la totalizzazione del mondo, quella “realtà unica” tanto ambita dalla domestica Popper, si completa così nel dicembre del 2001, quando anche la “rossa” Cina entra finalmente a far parte del club Wto. Battezzata dal giubilo di Prodi, dai laburisti e dai democratici “Clinton” mondiali, ogni barriera alla libera circolazione delle merci si dissolve definitivamente e i mercati possono finalmente essere colonizzati, invasi da orde di prodotti senza alcuna regola o restrizione (Prodi, a tal proposito, disse che l’Italia sarebbe diventata una specie di “portaerei” per le merci cinesi, dimostrando, se non altro, una scarsissima capacità di giudizio).
E’ il trionfo incontrastato del capitalismo senza freni, globale, la fine del percorso, per dirla con Latouche, sulla “strada della scomparsa di ogni limite”.
Ma non è tutto oro ciò che luccica: da questo epilogo iper-liberista sono infatti germogliate, benché blandamente, anche contraddizioni insanabili.
Gli stessi che osannano il trionfo del liberismo deregolato e la “fine del mondo” nel pensiero unico, infatti, non possono allo stesso tempo essere anche contrari all’immigrazione. E’ l’altra faccia della stessa medaglia “mercantile”.
E non possono nemmeno, come la Germania e l’Europa si ostinano a dire, fare differenze tra “profughi” che scappano dalla guerra e dalle barbarie, ed immigrati economici che fuggono dalla fame, dai cambiamenti climatici e dalla miseria (che della globalizzazione wild sono dirette conseguenze).

L’immigrazione, infatti, non è altro che la logica conseguenza della stessa imperante globalizzazione economica, solo che a spostarsi non sono merci e prodotti, bensì persone in carne ed ossa: l’Occidente, per mantenere alto il proprio livello di benessere ha, fisiologicamente, bisogno di sfruttare le risorse, la manodopera e i mercati di quei popoli che, pur facendo parte del consesso globale, non hanno santi in quell’assemblea.

Insomma, non si può pretendere che le merci e gli oggetti circolino liberamente per il globo e allo stesso tempo negare quel privilegio alle persone. A meno che non si creda davvero che le merci abbiano più diritti delle persone… che gli oggetti, vero feticcio dell’edonista uomo contemporaneo, non siano più importanti degli individui. Alla fin fine, checché ne pensi la massaia o il faticatore su più turni, i boat people e le emigrazioni sono solo l’effetto del nostro irragionevole benessere e della protervia occidentali. Non ci si può stupire ora, se ci stanno rendendo la pariglia come possono.

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