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lunedì 11 settembre 2017

Le globalle

Tempora mutantur! E se durante il G8 di Genova entrare dal panettiere ed essere chiamati “no global” corrispondeva alla massima onta che si poteva umanamente subire, oggi, a qualche anno di distanza, sembrano essere diventati tutti antiglobalisti. Il solito salto della quaglia fatto dalle pecorelle affaticate dal pensiero...

In realtà il bestiario è in continua fase di aggiornamento e i falchi globalisti non si sono del tutto estinti, hanno anzi persino assoldato i disillusi mancini (che nel frattempo hanno studiato!) critici della globalizzazione. Stanno nascosti nelle risacche del loro fallimento mediatico, ma talvolta affiorano qua e là, irrobustiti da qualche dato accondiscendente. Pur essendo scomparsi dalle parti del panettiere, li si trova ancora ovunque: dai salotti televisivi bene, alle uni-versitas più trendy, spesso consolidati da greggi di studenti con l’acconciatura “alla Himmler” e gli occhiali spessi, quelli che nel progressismo ideologico e nel trottolare “erasmico” hanno trovato il giusto recinto ad un pensiero che deve rimanere sotto controllo.
Il dato che ripetono come pappagalli in fregola è legato ad una dichiarazione della Banca Mondiale di qualche tempo fa: “la povertà estrema è in calo” e “nel mondo si vive meglio e la povertà assoluta è scesa per la prima volta al di sotto del dieci per cento della popolazione globale”. La crescita economica riduce la povertà”.

Insomma, ringalluzziti dalle dichiarazioni di Jim Yong Kim, le legioni pro-global fanno il verso ai detrattori del mondialismo: “Visto… la globalizzazione funziona bene, abbastanza bene!”.
Eppure, se questi ultras facessero anche un passetto in avanti, verso una potenziale comprensione (perché poi avrebbero dovuto comprendere, ché avevano già trovato la ragione del loro avere ragione?), capirebbero, ad esempio, che la progressiva riduzione della povertà sarebbe dovuta al semplice cambiamento dei parametri utilizzati per la sua misurazione. 
Quand’è, infatti, che si viene considerati in condizione di povertà assoluta? Elementare Watson!... quando un individuo ha un reddito inferiore o uguale a 1,20 dollari al giorno. Ma i soliti de “i dati hanno sempre ragione”, ben nascosti nel loro ambiguo trionfalismo, si dimenticano d’informarci che quel parametro è stato cambiato dalla stessa Banca Mondiale in odore di humanitas: prima del dietrofront, infatti, si veniva considerati in “povertà assoluta” se si percepivano meno di 1,90 dollari  giornalieri (colpa della deflazione mondiale? No, dei paraculo!). Facile quindi: i divini dati mi danno torto, cambio l’unità di misure per aggiustare anche quei resoconti numerici (la domanda  corretta per capire la bontà del dato dovrebbe, quindi, essere un’altra: i dati da chi sono dati?).
Il modello di riferimento è semplice: nascondere la polvere sotto il tappeto per magnificare il proprio "mondo" mondo.
E se non siamo all’”anche i bambini fanno oh”, ci piazziamo comunque nei paraggi dell’assurdità sorridente e dentata delle maschere di cera: se nel 2012 le persone in povertà estrema erano 902 milioni (pari al il 12,8 per cento della popolazione), nel 2015, grazie a questo bluff, i poveri assoluti sono improvvisamente diminuiti: oggi sono “solo” 702 milioni, meno del dieci per cento (9,6) della popolazione mondiale. 
E’ la bellezza dell’oggettività scientifica, quella che da Galilei in poi (non ti piacciono le cose umane, rendile “secondarie”!), ha continuato ad affinare la truffaldina pratica dell’artifizio e della trovata logica per “darsi ragione” e chiudere la quadratura del cerchio aprioristicamente ipotizzato.

globalizzazione

Ma poi, diciamola tutta, se non altro per la voglia di canzonare quella scientificità da baraccone. Se la rilevazione della povertà è data da un’unità di misura che si basa sul denaro, come facciamo con tutte quelle realtà di autosussistenza che non hanno mai visto circolare il becco di un quattrino, semplicemente perché la loro attività comunitaria non prevede lo scambio in denaro?
Le colonizzi, dapprima cogli stati nazionali (BRUTTI) e poi col mercato globale (BELLO): ma se introduci denaro in un luogo in cui nessuno ne aveva mai sentito il bisogno, condanni quei luoghi ad un futuro di sicura povertà (pochi anni fa, i paesi più poveri del mondo, Benin in testa, hanno chiesto all’Occidente di non aiutarli più, che coi loro pelosi “aiuti” mascherati da “diritti umani” e Ong, avevano già causato abbastanza incubi).
E quindi, per i dati – e per quei “datoglioni” che ci ac-campano teorie sopra – un africano che compra un paio di Ray-Ban cinesi o un cellulare scartato dagli Occidentali, ma non riesce a trovare cibo, è uscito, miracolosamente, dalla soglia di povertà assoluta. Che mangino occhiali taroccati e bevano polvere di latte, ché ora  (grazie a noi!) se la passano da ricchi pascià.

P.S.: è in decisa diminuzione pure la fame nel mondo, ennesimo successo della global-intellighentia-economica dell’apertura (senzaradicimaapiediinmarcia).
Un bel risultato, non c’è che dire, come quello ottenuto nel XVI secolo dagli hidalgos spagnoli in Sudamerica. Il trucco? 
Se non lasci morire di fame gli schiavi, quelli durano di più! 
Da morti di fame a schiavi, col vento del progresso in poppa e la coscienza di un candido giglio di campo.

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