Che l’Italia non fosse
propriamente un paese per gente onesta
lo si era capito già da tempo, ma qui stiamo davvero rasentando la commedia
dell’arte. Circa 60 mila aziende hanno
approfittato degli sgravi contributivi previsti dal jobs act per assumere 100
mila lavoratori che non ne avevano il diritto (8 mila euro di sgravi fiscali
per ogni collaboratore assunto a tempo indeterminato, per un totale di 600 mila
euro “frodati”). Anche il lavoro si può finalmente creare a debito...
E’ il successo del jobs act targato Governo dem.
Se da una parte, conquista par excellence, anche il lavoro diventa una merce al pari
delle altre, tant’è che si può parlare di un mercato del lavoro come
di un mercato dei tranci di carne o dei latticini, suscettibile alle stesse precarie
leggi concorrenziali, dall’altra le pie
aziende, che “danno da mangiare” allo sfigato di turno, abusano dei vantaggi
fiscali e ci fanno pure la cresta.
L’imprenditore, o meglio alcuni di essi,
non ci rimediano insomma una bella figura. O forse sì… in realtà questi novelli
mecenati dimostrano solo di essere à la
page, al passo coi tempi globali, perché seguono quella regola omnia che la logica del turbocapitalismo
ha reificato sopra ogni altra cosa: “massimizzare gli utili tagliando gli
sprechi”, tagliando il costo del lavoro,
gli investimenti, le giacenze di magazzino… magari fregando il prossimo e lo Stato
stesso (che, in fin dei conti, si comporta anch’esso come un privato qualsiasi
che desidera accumulare profitti).
Ammesso che la situazione sia davvero
questa, dovremmo allora accettare che il furbetto “prenditore” è una
figura allegorica assolutamente integrata al nostro sistema economico, mentre è
proprio il sistema di welfare ad essere
obsoleto, d’intralcio al profitto e a quei sant’uomini che danno
un’occupazione, meglio se “aggratis”. Ed
è superato anche il lavoro, inteso costituzionalmente come diritto, e
non invece bagarre tra poveri che si mettono in competizione l’un l’altro per
sopravvivere e comprarsi quel panem et circenses che dà così
tanta dignità e tartuferia.
Lo sosteneva anche l’unico, a mio
avviso, filosofo ancora vivente in Italia, Emanuele
Severino: “il capitalismo nasce
quando non è più lo scambio di merci a servirsi del denaro, ma il denaro a
servirsi della merce, quando cioè l'incremento del denaro in quanto profitto
privato è lo scopo della produzione di merci”. E quaggiù siamo ormai tutte merci, con tanto di cartellino e di codice a
barre stampato, ognuna col suo giusto prezzo e la stagione dei saldi da
scontare nei tempi di crisi.
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