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lunedì 8 febbraio 2016

Il Pil cresce e la disoccupazione cala: le mezze palle del Governo e della scienza

Non c’è bisogno di essere un pentastellato o un invidioso gufo per sbottare alle trionfalistiche dichiarazioni del “giovine” Governo democratico. Se aveva ragione quel nobile di Talleyrand, che del trasformismo fu primo esempio e maestro, quando diceva che: “in fondo la politica non è altro che un certo modo di agitare il popolo prima dell’uso”, allora sarà facile comprendere che per indignarsi di fronte alle res gestae di un Governo non eletto basta semplicemente non volersi fare prendere per il culo. E’ pur vero che, per parafrasare Weber, il politico è un uomo che vive di parole. E’ un parlatore di professione, seppur scadente, come richiedono i tempi moderni: oggi meglio twittare, concisamente e chiaramente, tanto per non obbligare il consapevole cittadino medio a dover pensare con la propria testa. E così, nella progressista democrazia del social-marketing e del “tanto per fare”, sembra si stia addirittura approfittando della beata sonnolenza del popolo a colpi di tweet e di Leopolde.

Ad esempio l’Ocse, ma anche i dati Istat e quelli di Confindustria, della Cgia di Mestre e di Topo Gigio, sembrano prevedere una crescita del Pil per l’Italia dello 0,7% nel 2015 - No dello 0,9%! No no si supera l’1%, altro che 0,7! No, scusate, 0,8! Anzi, meglio 0,7! - (anche sulla “cosa” più monitorata di questo mondo – l’economia – non ne azzeccano una: ne sparano tante, spesso a vanvera ma supportate da tendenze, algoritmi, dati non certificabili a priori, e in quel casino di tentativi, in quel continuo sparar di cifre, alla fin fine una giusta riescono persino a dirla. C’azzeccano, e quando capita, ci tengono a farti sapere quanto sono stati bravi).
Eppure, in questo caso, il problema non sta esclusivamente nella malafede dell’economia collusa coi gangli del potere politico, né nell’incompetenza, ma professionale – in giacca e cravatta –, dei nuovi baroni del vapore economico che, quando non fanno danni, si dilettano nei pronostici. Semmai ci fosse davvero un errore in quei dati, andrebbe probabilmente ricercato altrove. In particolare il QE (quantitative easing), ovvero l’acquisto massiccio di titoli di Stato da parte della BCE, sembra poter valere 1,4 % del Pil in due anni. 

cala disoccupazione

Lo stesso Padoan, ed anche l’onnipotente Goldman Sachs, hanno poi quantificato in uno 0,5% di Pil il deprezzamento del petrolio nel 2015. Ecco, se una massaia avveduta potesse fare due conti sulla mirabolante crescita del Pil italiano nell’ultimo anno, si renderebbe conto che in realtà esso non è cresciuto, poteva anzi diminuire (eh… non si potevano certo prevedere il QE e il calo del prezzo del petrolio!).Ci sarebbe poi un altro dato da considerare, un indice su cui si sa poco e niente: lIstat, infatti, in ottemperanza alle nuove modalità di calcolo del Pil previste da Eurostat (Sec2010), ha provveduto a ricalcolare, a partire dal settembre 2014, il Prodotto Interno Lordo dell’Italia, includendo nelle misurazioni alcune componenti delle attività criminali, quali il contrabbando, la prostituzione e lo spaccio di droga. Quanto valgono queste variabili sul Pil? Non è che cresciamo, dopo i tempi bui dell'austerity e della recessione, anche perché prima non venivano conteggiate queste attività? 
Ma il Governo non sente ragioni e si bulla dei propri risultati, anche se questi omerici successi sembrano provenire più da un baro che ha truccato la realtà per poi compiacersene.
Anche l’apologo del Jobs act, secondo cui starebbe progressivamente diminuendo la disoccupazione, potrebbe rivelarsi come fumo negli occhi. Prestando ascolto al sempiterno Istat, dopo la crescita registrata tra giugno e agosto (+0,5%) e il calo di settembre (-0,2%) e ottobre (-0,2%), a dicembre 2015 la stima degli occupati torna a scendere dello 0,1% (-21 mila). Su base annua la disoccupazione registra invece un forte calo (circa l’8%, pari a -254 mila persone,) attestandosi al’11,4%. Cresce però anche l’inattività (+1,4%, ovvero +196 mila persone che si sono rassegnate e non cercano più un lavoro).

In tal senso, la disoccupazione su base annua scende, è vero, ma ci si dimentica che essa è anzitutto un rapporto che ha come denominatore di calcolo la popolazione attiva (quella che potrebbe lavorare). Viene da sé, quindi, che se diminuisce la popolazione attiva perché aumentano gl’inoccupati, la disoccupazione diminuirà a sua volta, ma questo calo non si tradurrebbe in un aumento automatico degli occupati.
Insomma, quando non si sparano palesemente palle, ci si dimentica almeno di leggere interamente i dati, prendendo per buoni solo quelli che sono utili a glorificare l’azione del Governo di turno

Ma in fondo, perché spiegare al cittadino inciuchito ciò che accade davvero per renderlo consapevole, più avveduto, e magari migliore, quando invece puoi mettere la faccia sul successo appena ottenuto continuando a raccontare quello che ti fa più comodo raccontare? Forse perché, come andava dicendo un altro nobile, il Barone d’Holbach, che se non altro col potere aveva un rapporto più prossimo, quasi fisiologico, rispetto agli odierni politici mondani: “il potere e la grandezza, solitamente assorbono il cuore dell’uomo, lo ubriacano e gli causano una specie di delirio”.

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