“I
politici sono i camerieri dei banchieri”. Così tuonava Pound nel 1921, e non aveva ancora visto Bretton Woods,
la nascita del mercato globale, del WTO e della finanza virtuale a portata di
click. Oggi, quell’affermazione dal tono profetico, è invece lampante, di
dominio pubblico, se almeno il popolo bue e il cittadino inetto volesse ancora capire qualcosa di ciò che
gli accade intorno.
Ad esempio, uno come Zagrebelsky, Presidente
emerito della Corte costituzionale, non certo un esagitato complottista che s’imbroda
col signoraggio, può affermare candidamente che “la finanza comanda i governi”. Lo stesso Presidente della Bce,
all’indomani delle elezioni politiche del febbraio 2013, riflettendo una
“certa” nonchalance, diceva che poteva vincere chiunque, “tanto l’Italia ha il pilota automatico”. E anche il supertecnico,
probabilmente mandato dalla Troika per fare il curatore fallimentare, o giù di
lì, riusciva tranquillamente a sostenere che “i
governi – quelli imposti dalla tecnocrazia imperante, s’intende – devono
educare i parlamenti” (eppure, qualche politico, magari non in odore di
prebende ed aiutini, avrebbe dovuto spiegare al bocconiano che l’Italia sarebbe
ancora una democrazia parlamentare).
Gli esempi sono molteplici e trascendono persino qualsiasi chiarezza espositiva.
Ciò che maggiormente turba, ma è insieme il termometro dell’ormai accettata
verità sulla preponderanza dei mercati, è che ormai lo
si dice fingendo di non accorgersi nemmeno della gravità dell’affermazione. E anche il popolo, intorpidito dalla
propria noluntas, sembra aver accolto quel dato di fatto senza
grattacapi e senza obiezione alcuna.
Quel che non
stupisce diventa così di palmare evidenza: siamo
governati dai mercati, da un’anonima dittatura multiforme che non ha confini,
che è ovunque e in nessun luogo, priva di qualsiasi rappresentatività e
legittimità. Un mercato mostruoso, per dimensioni e capacità coercitiva, che non
è più nemmeno il semplice e lineare mercato degli uomini che si normava – o avrebbe
dovuto farlo – sulle elementari regole della domanda e dell’offerta. E infatti,
secondo uno studio di qualche anno fa redatto dalla FSB (Financial Stability
Board), lo shadow banking vale sui
mercati finanziari circa 67 mila miliardi di dollari. Una cifra sproporzionata, equivalente a più del 111% del Pil mondiale
e a circa un quarto del sistema finanziario globale. Una quantità di denaro
che viene gestita da una finanza parallela senza volto, che può muoverla dunque liberamente, a proprio piacimento, per decretare le fortune di qualche
accondiscendente “amico”, o le sfortune di chi non fa “i compiti” a casa, nemico
inviso agli interessi economici di “lor signori”.
Il vecchio Ezra Pound avrà
anche avuto qualche simpatia fascistoide, ma ci aveva visto giusto, quando
definì la democrazia come il “dominio dei prestatori di denaro”. Chi muove i soldi, oggi, sembra muovere
anche i fili della politica, dei governi, delle democrazie e dei nostri diritti in saldo.
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