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lunedì 26 gennaio 2015

Lavoratori furbi e uomini etici

E’ curioso vedere come si azzuffano tra loro i lavoratori. Anche quando una parte ha manifestamente ragione, non fa nulla per ottenerla. Un po’ come la Batracomiomachia di omerica memoria, la comica guerra tra i topi e le rane, si scornano per stabilire chi è il primo della classe, quasi una sorta di gara a chi lavora di più. 
Alla faccia di qualsiasi impossibile solidarietà di “classe”, questo zuffa tra poveri ha scritto forse oggi un nuovo capitolo della propria saga millenaria, grazie anche allo scandalo capitolino sull’assenteismo dei vigili urbani il giorno di capodanno.

Una vicenda all’”italiana”, già ampiamente stigmatizzata dalle numerose critiche piovute addosso agli assenteisti coinvolti: accuse condivisibili, s’intende, ma che hanno inflazionato l’intera questione senza tuttavia farne emergere la sostanziale portata critica. 

La vicenda, che per il momento è riuscita solo ad aizzare la frustrazione degli stakanovisti per cogliere una goccia dal loro sterile autocompiacimento sociale, sembra invece descrivere didascalicamente la morale delle “code di paglia“ tanto nota a noi italici, quelle che ormai hanno lottizzato persino i punti nevralgici della società, facendosi a tutti i livelli classe dirigente. 
Eppure, l'inquisitorio spirito morale che unisce i bar d'Italia e fa capolino nelle menti di tutti coloro che fanno il proprio "dovere" solo per non "dover" fare i conti con sé stessi, sembra solo l'ennesimo tentativo di de-vertimento pascaliano ("divertimento: gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria e l'ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici"). 

lavoro e furbetti

E così, quel demi-monde plebeo abbisogna di risentirsi col mondo perché non ne sopporta il peso; esso si scandalizza sempre degli altri, ipocritamente, in modo da poter sublimare anzitutto la propria inconsistenza volitiva... 
Da questo punto di vista, che fa l'occhiolino alla morale più che alla stringente attualità, si potrebbe addirittura sospettare che quelle "code di paglia" siano dappertutto, trasversali, equamente rappresentate in tutte le "classi sociali" e in ogni categoria di lavoratori
E forse è addirittura merito di questa trasversalità, di questa accondiscendente comunanza "morale" tra il vertice e la base, se non sono state adottate, sinora, norme in politica del lavoro del Pubblico Impiego. Una “distrazione” legislativa, probabilmente promossa da coloro che hanno il compito di farle quelle leggi, ma che tuttavia sembra non aver scontentato troppo nemmeno i "tribuni della plebe" (in tal senso, il cittadino si scandalizza ma non abbastanza da sentirsi in "dovere" di fare qualcosa. Egli si accontenta di sfogarsi assieme ai vomitatori di bile suoi eguali). 
Non si ha quindi la forza per cambiare e si attende sempre, come si può attendere Godot, che le risposte arrivino dall'alto. Ma il Parlamento sembra non voler far molto sull'argomento del Pubblico Impiego, forse per non accorgersi di ciò che tutti ormai sanno, ovvero che i più grandi assenteisti sono proprio i parlamentari che dovrebbero legiferare, o addirittura forse gli stessi dirigenti delle forze di pubblica sicurezza... Da questo punto di vista, probabilmente, i vigili urbani di Roma non hanno nulla da temere, poiché sull'episodio capitolino, come qualcuno ha sostenuto, non c’entra nulla il mito moderno del doverismo, né quello, altrettanto farsesco, dell’etica del lavoro (o meglio del reddito... un’etica peraltro poco etica, quella d’ispirazione paolina, il Santo secondo cui “chi non lavora non mangia”. Quell’etica che, come ogni cristiana ab-negazione di sé stessi, ha trascurato qualsiasi pregnanza individuale sacrificandola oggi sull’altare dell’efficienza, della produttività, del “tanto per fare”. Laddove oggi solo chi lavora ha diritto di cittadinanza, la morale greca credeva invece che anche un ozioso potesse essere  un "buon cittadino", e questo perché disponeva anzitutto del suo tempo libero  – skholè -). 

Lo scandalo capitolino è quindi semplicemente la dimostrazione plastica di un malcostume diffuso, e spesso accettato: i vertici del potere, come i comuni cittadini ispirati dall'etica del lavoro, fanno a gara per il primato di “meno peggio dell’altro”. 
Lasciate quindi le retoriche giuslavoriste alla propria ipocrisia, si potrebbe persino pensare che l’italiota medio, soprattutto quello che se ne lamenta (ma in fondo è una “brava” personae!), veneri queste scorciatoie e furberie, questo emergere per incapacità altrui, il sollevarsi dalle proprie responsabilità per addossarle ad altri meno "dotati" e "furbi", gli interessi personali in genere, anche nei rapporti lavorativi. 

Prezzolini ne fece un didascalico ritratto: “l'Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all'ammirazione di chi se ne serve a suo danno”.
Per questa ammirazione diffusa, benché spesso nascosta dallo sdegno e dall'indignazione, quei furbi, alla fin fine, finiscono pure per farci un figurone, come sanno probabilmente anche certi "grandi lavoratori", assenteisti stakanovisti del governo... 

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