“Timeo Danaos et dona ferentes” (temo
i Greci e i doni che portano). Con queste parole il perspicace Laocoonte
consigliava ai dardani di lasciare il cavallo fuori dalle mura di Troia. Ora che
l’ethos virgiliano è stato rimpiazzato
dalla teologia economica favorita da quel verminaio di sciacalli adulanti
l’ortodossia del capitale, sono invece i greci a dover temere i “cavalli di
Troika”, e con loro anche i nuovi imparruccati e i cortigiani delle
tecnocrazie economiche.
E così, dopo i
rastrellamenti di liquidità dalle casse del Parlamento, dalla sanità e dagli
Enti locali, dopo aver provveduto a requisire i fondi delle scuole, degli
ospedali e dell’Agenzia per l’occupazione, la Grecia spossata
dalla perversa logica dell’austerity si prepara a smobilitare definitivamente,
vendendo, o meglio svendendo, larga parte di quel patrimonio pubblico che
ancora possiede.
Un’“immane
raccolta di merci”, per dirla marxianamente, messa in vetrina grazie alla creazione di un
“Fondo” che dovrà gestire l’alienazione di più di 71.000 pezzi di proprietà
pubblica, i cui profitti verranno poi utilizzati per l’abbattimento
dell’insostenibile debito pubblico e per la ricapitalizzazione delle banche.
Meglio noto
come “il Fondo”, l’Hellenic Republic Asset Development Fund, è il
pasticciato risultato degli accordi che hanno sbloccato l’ultima tranche di
10,3 miliardi di euro prestati dalla Troika per “aiutare” l’insolvente Grecia a
ripagare i suoi creditori. Le ragioni di tale scelta sono evidenti, le
svela, senza troppi giri di parole, anche il Commissario agli affari economici
e monetari Pierre Moscovici: “serve a
dare certezza ai creditori”. In tal senso, non sarà forse una coincidenza
se la creazione del mistico “Fondo”, l’ultimo atto di subordinazione del
Governo Tsipras ai desiderata della Troika (Commissione Europea, BCE, FMI), è
stato promossa proprio dalla BCE e dal FMI, che sono, guarda caso, due tra i
creditori maggiormente esposti con Atene. La solita partita di giro a somma
zero.
Costituito anche per stuzzicare il
bulimico appetito dell’homo oeconomicus e
del facoltoso consumatore onnivoro, il “Fondo” per la privatizzazione degli asset ellenici è persino consultabile
comodamente online, da casa, quasi fosse una bella piattaforma di e-commerce,
un outlet virtuale ove scegliere i prodotti migliori a prezzi stracciati.
Il catalogo è
ricco ed interessante. Tra le merci in saldo figurano più di 500 isole,
centinaia di chilometri di costa, hotel, campi da golf, siti olimpici, le
proprietà storiche nell’antico quartiere di Plaka, a ridosso dell’Acropoli,
enti e titoli bancari di proprietà pubblica.
Se a questa
“liquidazione per chiusura attività” aggiungiamo poi che anche il 73% del porto
strategico del Pireo è passato nelle mani della cinese Cosco, e che la
gestione di 14 aeroporti regionali è stata affittata al gruppo tedesco Fraport
(tra i quali: Corfù, Kos, Rodi, Salonicco, Mykonos, Santorini
e Zante), potremmo facilmente tratteggiare le proporzioni della totale
smobilitazione che restituisce al popolo greco le briciole di uno Stato
retrocesso velocemente a feudo, a zona franca per i rapaci interessi del
neoimperialismo finanziario-mercantile.
Ciononostante,
Stergios Pitsiorlas, il Presidente del “Fondo” per la privatizzazione,
opportunamente intervistato dal Guardian, fa orecchie da mercante sfoggiando i
pervicaci panni del pompiere: “vendere
non coinciderebbe anche con una perdita di dignità del popolo greco” - e continua nel suo intercalare – o comunque è
meno grave dell’“essere costretti ad
affidarsi ai prestatori stranieri”. Perché, “se si vuole davvero aiutare i lavoratori, smettendo di tagliare salari e
pensioni alzando contemporaneamente le tasse, bisogna trovare i soldi”.
L’avvocato di
sinistra Pitsiorlas sembra “ciurlare nel manico”, eppure non dovrebbero servire
le acrobazie dadaiste di un fine economista bocconiano per comprendere ciò
che il semplice bottegaio de La Peste di Camus, Monsieur Cottard, riuscì a
capire subitaneamente: “i grandi divorano
sempre i piccoli”. Ma ormai anche la spicciola logica contabile non
trova più asilo nelle demenziali elucubrazioni del capitale libero. Anche la
“ragioneria” è ormai diventata un soffocante vincolo per le irragionevoli
pretese tecnocratiche assolutizzanti la realtà: io presto altri soldi al
debitore insolvente perché poi mi restituisca i debiti già accumulati con gli
interessi. Una follia. Un po’ come se per curare un drogato gli
somministrassimo altra droga: “drogare
ulteriormente il cavallo già dopato perché faccia ancora qualche passo prima di
schiattare”, utilizzando le parole di Massimo Fini.
Alla fin fine,
la spartizione di ciò che rimane della destrutturata Grecia sembra solo
il riflesso della proustiana mémoire
involontaire, un flashback già visto, un ricorso storico: anche dopo
l’assassinio di Giovanni Capodistria, le grandi potenze europee decisero
d’infeudare un nuovo governo monarchico affidandolo al bavarese Ottone di
Wittelsbach. Tuttavia in quel lontano 1843, il popolo greco poté almeno imporre
al nuovo re tedesco di concedere una Costituzione, ora invece, sfibrato e
disorientato, è probabile che non sappia più nemmeno chi prendere a pedate…
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