Se ne avranno probabilmente a male tutti
i dogmatici liberisti acritici e gli studenti che affollano le università di
eco-nomia per trovare una collocazione professionale, ma il determinismo che
dovrebbe guidare la prevedibile (e perciò anche esatta!) scienza economica,
non esiste. Credere ancora che l’economia risponda a leggi immutabili,
statiche, benché indirizzate da un numero sempre crescente di variabili,
insomma, da una logica irreprensibile di causa-effetto, non ha più alcun
senso. In fondo l’ha velatamente affermato anche il governatore della BCE Draghi durante una “lecture” alla Bundesbank
di Francoforte: c’è una “cospirazione” delle “forze dell’economia globali” per
tenere bassa l’inflazione.
Apriti cielo! Vista l’infelice gaffe dell’autorità
economico-monetaria più importante del Vecchio Continente, dagli ambienti Bce filtra
che il termine utilizzato da Draghi (“conspire”) fosse inteso come “concorrono”
e non col declinato significato di “cospirazione” (la forza delle affermazioni di Draghi,
secondo quest’ipotesi, sarebbe quindi solo nella traduzione italiana: ecco
finalmente a cosa serve l’inglese!). Siamo all’esegesi, alla retorica, alla
poesia… Non accorgendosi peraltro che, se anche il “to cospire” alludesse ad un
più morbido “concorrono”, quest’ultima interpretazione sarebbe forse ancor più
allarmante: essa significherebbe che il mercato libero non esiste. Se infatti
queste diaboliche forze avessero fatto cartello pur di mantenere
l’inflazione bassa, ciò rivelerebbe la possibilità, da parte di quelle stesse “potenze oscure” che ne abbiano la forza economica, di truccare il mercato a loro
piacimento – altroché “mano invisibile” di smithiana memoria!-.
Eppure nessuno
dei giornali istituzionali e nessun opinionista autorevole, almeno sinora, ha
pensato bene di ragionare sulla portata del concetto espresso da Draghi in
quelle “sinestesie”. Hanno preferito, come spesso accade, porre domande
retoriche senza abbozzare uno straccio di risposta. - Chi sono i “cospiratori”?-,
si chiedono accorati i media di casa nostra. Difficile dirlo con ragionevole
certezza, tuttavia, forse, un flebile indizio ce lo dà proprio il luogo in cui il
governatore Draghi ha pensato di esprimere le sue preoccupazioni: la Bundesbank
di Francoforte. E’ noto, a tal proposito, che i tedeschi non abbiano un bel
rapporto con l’inflazione. Dopo la prima guerra mondiale, durante la
Repubblica di Weimar, gli indici del costo della vita salirono fino a 16 volte,
a tal punto che, tra il 1922 e il 1923, un francobollo arrivò a costare 5
miliardi di Papiermark.
Ma qui siamo comunque nel regno
insondabile delle ipotesi. Ciò che invece appare sempre più chiaro, è che
stiamo navigando a vista su un vascello che sta andando sempre più alla deriva,
nel bel mezzo di una tormenta, e senza un timoniere.
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