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giovedì 9 ottobre 2014

Tra default e ancien régime

L’Argentina, nell’ovattato silenzio dei media più ortodossi, è fallita di nuovo. La Corte Suprema americana, convalidando la sentenza emessa più di un anno fa da un giudice dello Stato di New York, ha decretato la vittoria legale dei fondi spazzatura sulla richiesta argentina di ristrutturazione del debito. Eppure, come spesso accade nelle questioni economiche, aritmetico-quantitative, infinite, pare che la vicenda sul default argentino non abbia ancora toccato il fondo.

Val la pena forse, tanto per tentare di compiacere l’oggettività dell’informazione, fare un passo indietro, ricordando sommariamente i passaggi di quest’inquietante vicenda finanziaria. 
L’Argentina non è andata in bancarotta perché le mancassero le risorse per far fronte ai propri debiti, ma perché un giudice della Corte newyorkese ha congelato una parte di fondi depositati negli istituti di credito americani (i factotum dell’economia parlano di 539 milioni di dollari), che sarebbero serviti per pagare gli interessi obbligazionisti a coloro che avevano invece accettato la ristrutturazione del debito per il default precedente del 2001. 

E’ bizzarro, eppure anche nei liberi ed iper-democratici USA, la legge, come peraltro segnalava in tempi non sospetti il nobile normanno Alexis de Tocqueville, pare favorire anzitutto gli interessi forti, corporativi, i centri nevralgici di potere. Forse non tutto il mondo è paese, ma di certo l’uomo, nei suoi istinti “naturali” (quelli esclusivamente utilitaristici, prestando ancora una volta ascolto alle dottrine che di quel “popolo eletto”, sono la radice ed insieme il più profondo sostrato sub-culturale) sembra non cambiare con le latitudini. Il senso del pronunciamento del giudice Thomas Griesa risponde infatti esclusivamente a logiche d’interesse, peraltro tutelate dalla legge “democratica”: prima di scongelare quei fondi l’Argentina deve infatti pagare 1,5 miliardi per i bond scaduti in mano ai fondi spazzatura (hedge funds). “E’ la prima volta nella storia” - commenta  Stiglitz-  “che uno stato era nelle condizioni e aveva la volontà di pagare i suoi creditori ma viene bloccato da un giudice”.


La volontà di favorire, preferenzialmente, gli hedge funds rispetto ai piccoli risparmiatori che hanno accettato il precedente piano di ristrutturazione del debito, lascia così trasparire quali siano, oggi, i rapporti prioritari, di forza, tra cittadini comuni e centri di potere economico-finanziario. Il discorso, al netto delle astruse retoriche economiche, è fin troppo lineare e trasparente. I fessi che si sono accordati col governo argentino per rientrare, benché parzialmente, dalla propria perdita, vengono considerati, implicitamente, soggetti giuridici di serie B, passive marionette “ad angolo retto”, buone solo ad ingrassare il Leviatano finanziario. 

Eppure la decisione del giudice a stelle e strisce non è così difficile da comprendere, se si capisce cos’è diventata la finanza oggi: un’assurdità sproporzionata, priva di qualsiasi legame logico con la realtà  (nel 2008, ad esempio, il mercato dei derivati aveva una dimensione pari a 668mila miliardi di dollari, mentre la filiera della finanza più “tradizionale” poteva contare su un mercato pari a 167mila miliardi di dollari. In questo scenario il Pil mondiale ammontava invece a 60.600 miliardi di dollari. In definitiva, sommando le due voci della finanza, si arriva ad un rapporto di potenza tra le due “ricchezza” di 14 a 1. Non scandalizza dunque, se negli ultimo giorni, anche la Banca Mondiale parla di ebola, del disastro che potrà originarsi, misurandolo in 33 miliardi di dollari. Non si fanno più “proiezioni” sui morti, i danni si calcolano esclusivamente in “dollari"!). Nulla di nuovo, in fondo, rispetto alla barbara lex salica. Anche se all’epoca medievale, a dirla tutta, ci saremmo risparmiati almeno la falsa retorica dell’uguaglianza di fronte alla legge, così come quella dei diritti naturali ed inalienabili, assieme a quella incompiuta “idea moderna” che prende il sarcastico nome di “democrazia” (se tutti sono uguali, nessuno ha più bisogno di diritti”, diceva Nietzsche). 

Tra il 1343 e il 1346, c’era forse meno ironia nell’aria, eppure alle cose veniva dato il nome che spettava loro. In quegli anni ’40 del 1300, fallirono due tra i più importanti istituti di credito di allora, i banchi fiorentini dei Bardi e dei Peruzzi. E fallirono, come accade anche oggi, se non si presta eccessivamente ascolto alle retoriche simil-democratiche e di mercato, per una decisione arbitraria, d’imperio. Allora fu il Re d’Inghilterra Edoardo III, fallite le spedizioni contro i francesi, a decidere di non pagare i debiti contratti coi fiorentini. Oggi invece, meno schiettamente di allora, le moderne aristocrazie finanziarie pretendono di essere persino garantite dalla legge democratica nei propri particolari interessi. Antidemocratici per definizione, di parte, minoritari rispetto alla maggioranza dei piccoli creditori, riescono ad essere tuttavia, oggi, gli unici “soggetti” in grado di garantire quel nuovo idolum che vuole le ricchezza padrona di ogni altro valore. E proprio nel nome di questa “ricchezza” il risparmiatore si tace, accettando supinamente ogni vessazione in virtù di un bene superiore, comune, assoluto… Alla subdola retorica democratica, preferisco la franchezza di un sovrano medievale.

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