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martedì 18 febbraio 2014

Se la libertà d’informazione rende stitico il pensiero...


Come ogni anno RSF (Reporter Sans Frontiers), l’organizzazione non governativa che agisce, tra le altre cose, anche in difesa della libertà d’informazione, ha stilato la classifica dei Paesi con il maggiore grado di libertà di stampa. Da quel rapporto risulta che la libertà di stampa in Italia migliora di 9 punti (ora ci piazziamo al 73° posto) rispetto alla precedente rilevazione dell’anno scorso. In Europa, come era logico sospettare dalla crescente voglia d’eutanasia, il trio di testa di quella classifica è stabilmente composto da Paesi del nord: Finlandia, Paesi Bassi e Norvegia.

Eppure la disamina della ONG, oltre a manifestare, ancora una volta, l’impossibilità di applicare l’astratta logica razionale a ciò che vive, apre, suo malgrado, a tematiche che rimarrebbero altrimenti disattese, coperte anch’esse dalla stessa coltre che vorrebbe invece rivelarle: l’informazione libera.
Una classifica, diciamola tutta, che lascia il tempo che trova: chi misura l’inclinazione alla curvatura del giornalista baciapile? RSF computa scientificamente anche i legittimi interessi di Confindustria, dei de Benedetti o dei Berlusconi di turno (l'ultimo "scherzo" telefonico a Barca la dice lunga…), oppure, in questo gioco di contrappesi dovremo credere anche noi alla favola del buon filantropo engagé? Misurare la libertà d’informazione, almeno in occidente, non ha senso, nella misura in cui non è passibile di misurazione la collusione coi poteri forti che, barbicati come metastasi al sistema di potere, potrebbero influenzare l’informazione a loro vantaggio senza lasciare dati certi su cui fondare ogni qualsivoglia attività analitica.

informazione libera

Avrebbe invece un senso, e tutto sommato pure una valenza para-pedagogica, stimare il grado di assuefazione alle notizie dei cittadini, vagliarne il livello di abitudine, quello che non permette più loro nemmeno l’indignazione: intorpiditi mortalmente dalla familiarità che culla lo spirito critico nell’indifferenza, quella rassicurante che rende infine omogenea ogni notizia. Erasmo da Rotterdam, benché in tempi non sospetti, già sapeva che l’abitudine ottunde e livella, normalizzando ogni cosa per renderla infine accettabile, che non fa più paura: “non vi è nulla di così assurdo che l’abitudine non renda accettabile”. L’abitudine all'ovvietà ipertrofica dell’informazione ha così sortito un risultato opposto all’originale proposito di fornire un potentissimo strumento per l'autodeterminazione e l'autonomia dell'individuo: liberatosi  dalle superstizioni e dai cliché, dalle influenze e dagl’irrevocabili ipse dixit, quella libertà ha finito ancora una volta, rivelando per contrasto la paura di restare senza riferimenti cardinali a cui adeguare il proprio giudizio, per trasformarsi in una virtus dormitiva, ulteriore modalità per creare artificialmente confusione riducendo ogni cosa all’informe, all’equivalente, all’indifferente (ne è un esempio lampante anche l’abitudine consolidata dai telegiornali che fanno tendenza, quella di passare distrattamente dalla cronaca nera alle soubrette senza apparente stacco narrativo). Sarebbe oggi forse più “serio” fare uno sforzo ulteriore per soppesare invece i danni causati da quel surplus di libertà d’informazione, o almeno dall’uso sedativo di cui l'uomo ha preferito farne. 

Ormai, bombardati da un interminabile ed isterico pulviscolo di chocs d’informazioni e di input sconclusionati, non ci scandalizziamo più di nulla. Niente fa più notizia! Ne abbiamo già viste troppe e ciononostante sembra, paradossalmente, che non se ne sia compresa nessuna. Anche l’uomo informato contemporaneo soffre di “moderno”, per dirla con Nietzsche: “oggi gli uomini vivono troppe cose (…) hanno insieme fame e colica, e perciò diventano sempre più magri per quanto mangino”.  Così come la democrazia facilita l'informazione nella libertà, anche l'uomo contemporaneo è incapace di pensare per gerarchie e ordini, ché essendogli tutto uguale non è più in grado di comprendere le differenze sostanziali tra ciò che è essenziale e quel che invece non lo è. 
L’informazione democratica dunque riempie ma non spiega, al pari della democrazia odierna sua vicina parente, fa scegliere ma non agire.

Una libertà d’informazione imposta più che voluta: all’inciuchito fruitore di cronache fresche, necessitando dell’informazione in modo tale da ubriacarsene per distogliere così lo sguardo dalle proprie vitali preoccupazioni, manca il tempo necessario e l’esercizio per l’assimilazione... il popolo bue ha smesso anche di ruminare. L’informazione globale sembra essere quindi solo l’ennesimo nuovo “de-vertimento” posto a tutela di quella narcolessia che oggi passa blandamente sotto il nome di joie de vivre. Avendo intuito che pensare rovina l’appetito e che anche l’informazione implica prima una formazione, abbiamo deciso di aumentare esponenzialmente la quantità d’informazioni così da esserne storditi. Sappiamo tutto e ciononostante non vogliamo capire nulla per conservarci il buonumore: il nuovo dogma postmoderno dell’informazione democratica!

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