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domenica 16 novembre 2014

Carige, l’altra Mps e il Banco di San Giorgio


Gli stress test valutativi condotti dalla "neutrale" BCE bocciano Banca Carige e Mps. Carige, nella fattispecie, mostrerebbe una carenza di capitale valutata in 814 milioni di Euro. Non sono chiari, per essere sommessi, i criteri di queste indagini imposte dall’Europa, dato che, almeno nelle simulazioni condotte dagli specialisti, la previsione dei conti sull’esercizio di bilancio 2013 avevano permesso a Carige di raggiunge la soglia minima di "promozione" prevista dall’indice Core Tier 1 (“valore composto dal capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti al netto delle imposte”).

Lasciamo stare quindi, almeno per il momento, le allegre contraddizioni della scienza economica, tra gli equilibrismi dei suoi oggettivi dati sino alle sue faticose acrobazie. Essa, lasciatasi alle spalle anche il XXI secolo, non manca di dimostrare, per l’ennesima volta, che non è una cosa “seria”. Basta infatti cambiare i parametri, i pre-supposti, numeratori e denominatori, per scompaginare le carte in tavola, e con essa pure la sua "scontata" sacralità. 

Eppure, in questa vicenda finanziaria, c’è chi ha fatto pure peggio degli austeri calvinisti tecnocrati europei. 
Il rapporto ritentivo tra i genovesi e il loro denaro, il genovino, non è una semplice macchietta arrivata sino a noi attraverso la sedimentazione portata dai secoli, bensì un'abitudine, magari inconscia, profondamente radicata nella sua lunga storia. E’ impossibile, infatti, scindere la storia della Repubblica di Genova dal suo prosperoso “impero” mercantile-economico. Furono i primi ad inventare la società per azioni, la Maona. 

genovino San Giorgio maona

Furono pure i primi a fondare una banca, nel 1407 (con qualche anno di anticipo sull'altra "vecchia" senese, la Monte Paschi). Quel Banco di San Giorgio, potentissimo soprattutto a partire dal XVI secolo, rimane ancora, sia metaforicamente che nella concretezza stringente della quotidianità, il simbolo attorno al quale gravita l’intera storia genovese, anche attuale. Le sue fortune cominciano con un fallimento, quello dei banchieri bavaresi, i potenti Függer, finanziatori, tra gli altri, anche dell’asburgo Carlo V, titolare dell'immenso ’”impero ove non cala mai il sole”, che dalle americhe giungeva, passando per la Spagna e il sud Italia, sino alle Fiandre esaurendosi, ancora più a ovest, in Boemia e in Ungheria. 
I Függer, creditori anche del figlio di Carlo V, il re di Spagna Filippo II, non ressero però di fronte ai debiti che determinarono poi la bancarotta spagnola: impreparati di fronte al “default” dello “stato”, vennero sostituiti dal genovese Banco di S. Giorgio che, nonostante le successive tante bancarotte, non fallì mai: fallisce lo Stato, non loro. 
La logica del mercato finanziario, anche oggi, parla quindi italiano. Imparata precocemente la lezione dai concorrenti di Augusta, si fanno intestare gli interessi sulle miniere e sull’argento d’oltreoceano a garanzia degli enormi crediti prestati. 

Da lì in avanti, i genovesi furono coloro che tennero i conti del più ricco tra i tanti traffici mercantili premoderni, quello dell’oro e dell’argento spagnoli provenienti dalle americhe dappoco scoperte. Eppure, laddove non riuscirono a scalfirne il potere le monarchie assolute, nemiche del libero mercato, e gli imperi “dove non cala mai il sole”, possono oggi le forze messe in campo dalla “moderna” ed emancipata democrazia: gli amministratori distratti e che distraggono, e una classe dirigente-politica spesso inetta e collusa. Laddove fallirono i “re fannulloni” e l'ancien régime, possono oggi le fondazioni (quella Carige è stata capitanata sino a poco fa dall’ex Ministro Scajola), e le governance democraticamente elette. 

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