Talvolta capita di riuscire a comprendere
la totalità di un pensiero, intuendone magari il senso, anche dalla
particolarità di un avvenimento specifico. E’ il caso, tra gli altri, del
codice penale Zanardelli del 1889. E’ curiosa, in tal senso, l’interpretazione
che ne è stata data a posteriori.
Passa infatti alla storia come la prima
codificata legge che prevede il diritto allo sciopero. In realtà,
divincolandosi tra i bizantinismi giurisprudenziali, retaggio ed insieme
sciagura di ciò che fu la legge romana, ci si accorge che non definisce affatto
le caratteristiche dello sciopero (non riconobbe mai, espressamente, il diritto
di associazione).
Circoscrive esclusivamente gli spazi giuridici in cui è
lecito, da parte dello Stato, intervenire con l’uso della forza per sedare il “diritto”
del manifestante.
Non ti dice, insomma, quali siano i tuoi diritti, ma ti fa sempre sapere dove finiscono. Un po’ come il noto principio liberale, “tutto ciò che non viene proibito dalla legge è lecito”, il codice Zanardelli non allarga, né ammette il diritto allo sciopero, casomai lo omette, poiché per la legge statale il diritto non è mai in difesa del cittadino, e delle sue libertà, bensì a garanzia dello Stato e del suo orizzonte di potere.
E’ esemplare, per capire appieno l’ambiguità della sua applicazione, la vicenda tardo ottocentesca dei Fasci siciliani, un movimento popolare-contadino d’ispirazione socialista, che rivendicava migliorie salariali, ma soprattutto la spartizione del latifondo tra i contadini. Le prime manifestazioni popolari, sotto il governo Giolitti (quello che disse, tanto per non sbagliare: “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”), vennero lasciate sfogare senza limitarne l’espressione, così pure i Fasci. Caduto il governo Giolitti, il ritorno dell’ex garibaldino e mazziniano Crispi, invece, segnò una netta inversione di tendenza rispetto al permissivismo dell'esecutivo precedente, cosicché vennero successivamente duramente repressi dal governo Crispi attraverso un massivo intervento militare, con esecuzioni sommarie e arresti di massa.
Non ti dice, insomma, quali siano i tuoi diritti, ma ti fa sempre sapere dove finiscono. Un po’ come il noto principio liberale, “tutto ciò che non viene proibito dalla legge è lecito”, il codice Zanardelli non allarga, né ammette il diritto allo sciopero, casomai lo omette, poiché per la legge statale il diritto non è mai in difesa del cittadino, e delle sue libertà, bensì a garanzia dello Stato e del suo orizzonte di potere.
E’ esemplare, per capire appieno l’ambiguità della sua applicazione, la vicenda tardo ottocentesca dei Fasci siciliani, un movimento popolare-contadino d’ispirazione socialista, che rivendicava migliorie salariali, ma soprattutto la spartizione del latifondo tra i contadini. Le prime manifestazioni popolari, sotto il governo Giolitti (quello che disse, tanto per non sbagliare: “per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano”), vennero lasciate sfogare senza limitarne l’espressione, così pure i Fasci. Caduto il governo Giolitti, il ritorno dell’ex garibaldino e mazziniano Crispi, invece, segnò una netta inversione di tendenza rispetto al permissivismo dell'esecutivo precedente, cosicché vennero successivamente duramente repressi dal governo Crispi attraverso un massivo intervento militare, con esecuzioni sommarie e arresti di massa.
Ma in fondo, è ancora una volta solo la stantia retorica padronale dello Stato assolutizzante che si fa beffe dei propri cittadini eternamente minorenni. Li usa, quando va bene, in ossequio alla principale regola che ne promuove l'azione di governo, quella realistica “ragion di stato” per cui siamo tutti sacrificabili. Per essa siamo infatti tutti figli da forgiare, materiale umano da sgrezzare attraverso la disciplina e l’educazione. Pedine passive, ma al contempo anche minacciosi soldatini da controllare.
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