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giovedì 26 maggio 2016

Parassiti sociali e paraterga

Per qualcuno potrà sembrare persino bizzarro, ma dagl’insulti si possono comprendere, seppur per contrasto, quali sono i valori che muovono l’agire e il pensiero di un individuo e di una società. 
Forse si tratta esclusivamente di spicciola ontologia da bar di provincia, o di un posticcio Zeitgeist da soma, ma la retorica sul “parassita  nullafacente e fannullone”, sembra essere diventata il massimo oltraggio da attribuire ad una persona per denigrarne la rispettabilità.

E’ l’etica poco etica del “tanto per fare” imperante, quella che, dal Governo Renzi sino al più piccolo imprenditore di provincia, sembra permeare l’intera società globale capitalista
Non c’è niente di peggio di un fannullone
Lo stesso nervo morale dei laboratores per “spirito di flessione”, quello della “morale degli schiavi” nietzscheana, che vede nell’utilitarismo e nel do ut des la sola cifra capace di conferire dignità alle cose e alle persone (il guazzabuglio plebeo: tu mi servi per quello, e ti uso, io ti servo per questo, e mi faccio volentieri usare, ché l’utilità quantificabile in convenienza, o il puttanesimo se si preferisce, è un valore a priori).
Se invece smettessimo, per un solo attimo, di fare le Baccanti e le scimmie del capitale, e volessimo guardare più da vicino ai parassiti sociali in tutte le loro declinazioni, potremmo forse persino accorgerci che, in qualche modo, siamo tutti “operosi” nullafacenti e parassiti alla bisogna.
Che società è, ad esempio, una società in cui meno del 30% degli occupati lavorano nel settore produttivo (agricoltura e industria)? Che società è una società che viene sfamata da meno del 4% della forza lavoro? Gli unici soggetti produttivi davvero insostituibili in una società seria, sia detto innocentemente di passata, dovrebbero infatti essere proprio coloro che producono il carburante per far funzionare gli uomini – il cibo -.

parassita

Diciamo la verità una volta tanto: il parassita e il paria sociale, non è più il nullafacente, e nemmeno l’evasore o chi si approfitta dell’altro, bensì colui che non riesce a consumare abbastanza.
Spiace per il pur ottimo Miglio - “chi è il parassita? Il parassita è colui che non produce ricchezza, ma vive consumando quella prodotta dagli altri” -, ma le cose non sembrano essere oggi così lineari e semplici. 
Quel rapporto si è invertito, rovesciato, quasi orwelliana-mente: il barbone contemporaneo è chi non fa girare l’economia, il consumatore difettoso. 
Campare e bearsi del lavoro altrui non c’entra quindi niente col parassitismo economo-sociale. Anzi, il parassita non deve fare proprio niente, deve solo consumare, lasciarsi ammaliare da nuovi bisogni, farsi tubo digerente e vuoto da colmare.
Sono lontani i tempi dello Stakanov del nordest, che lavora anche il sabato e la domenica, ma forse solo perché schifava il tempo libero, autonomo, ché quel vuoto di lavoro lo costringerebbe a fare infine i conti con sé stesso (l’espressione: - bisogna lavorare per vivere -, a ben vedere, non è altro che l’ultima giustificazione di colui che non si vuole liberare dalla propria dipendenza, perché forse ha fiutato che altrimenti non rimarrebbe nient’altro).

Il parassita è quindi quell’individuo malfatto che non consuma a sufficienza, che non si presta a tenere in piedi questo carrozzone insensato e demenziale, ove non è necessario produrre per consumare, bensì consumare per produrre.
Proviamo allora ad esagerare, tentiamo, di tanto in tanto, di suggerire una blanda traiettoria: forse l’unico autentico contributo che si può dare al benessere di questa società di lavoratori-strumenti, sarebbe quello di tentare di farli aprire gli occhi su loro stessi, e sul loro ruolo di lavoratori-consumatori.


Forse, servirebbe solo più educazione, più scuola. Ma non la “buona scuola pro-flessionalizzante” che forma, come vorrebbe Poletti, nuove risorse da collocare sul mercato del lavoro. Bensì una scuola più filosofica e meno pratica. Liceale. Che allevi cittadini migliori e non strumenti produttivi che servano esclusivamente ad oleare il funzionamento dell’”ontico” ingranaggio globale
Non sarà forse un caso, se il termine skolé, che i latini traducevano con la parola otium, alludeva a tutto ciò per cui mancava una costrizione e su cui nobilmente parassitare. 

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