Il
progresso della collettività è in definitiva un regresso per il singolo.
R. Musil
R. Musil
Chi non riesce a
trasmettere un senso “proprio” a ciò che fa non desidera altro che trovare una giustificazione
che appaghi questa sua insensatezza. E la trova spesso, senza fare nemmeno lo
sforzo di cercarla, nelle illusioni collettive. Le sole che gli permettano di
obliare nella chiassosa comunità di “noi” il vuoto determinato dall’”io”
mancante (parimenti a quel che avviene razionalmente per il punto nella
geometria: egli è l’ente geometrico più elementare, costituente ogni altro ente
esteso, superiore, spazio privo di estensione. Solo dall’addizione con altri punti
adiacenti può quindi darsi una forma consistente, sorreggendosi ad altri non
esseri suoi pari. La somma d’infiniti individui zero costituisce quest’uomo
inconsistente. Egli riesce ad essere, ad avere una forma, solo quando è in
gruppo).
E’ bizzarro, ma la
società probabilmente più spiccatamente individualistica che la storia
dell’uomo abbia conosciuto, pare essere incapace di mettere al centro delle
proprie preoccupazioni proprio l’individuo. E’ tutta una cagnara di “noi”, di
gruppi, di “beni comuni”, di collettività a cui si “deve” incondizionata
ubbidienza e miope dedizione, come ad esempio le “ultime” trovate per rendere
questa dipendenza persino utile, proficua, produttiva, tra cui quella ormai
classica è il lavoro di squadra, il team
working.
Non esistono oggi, checché se ne dica,
individui. Quando ci sono, sono solo dei pallidi simulacri, "uomini senza qualità". Rappresentazioni
sbiadite che vengono infatti definite e caratterizzate esclusivamente a seconda
delle competenze e delle qualità che possono mettere in campo nella “vita sociale”.
In un sistema che richiede la crescente specializzazione delle qualifiche noi
non veniamo più identificati in quanto uomini, lo siamo esclusivamente in base
all’utilizzo che possiamo avere per gli altri e viceversa, per dirla con Stirner:
“nessuno ha bisogno dell’altro come
persona, ma ne ha bisogno invece per quel che gli dà”. L’uomo del team working è quindi, primariamente,
uno strumento. Egli abbisogna di qualcuno che lo utilizzi per sentirsi
confermare in quanto uomo. Un uomo gregario, dipendente, il cui unico vanto è
quello di possedere un prezzo, una quantità di forza-lavoro o di competenze, a
seconda di ciò per cui viene adoperato. Si vanta persino di essere risorsa
umana. Vuol essere utile – ovvero utilizzato -. Per utilizzare le parole di
Nietzsche che, anticipando i tempi, c’aveva visto probabilmente giusto: “nella collettività democratica, dove
ciascuno è specializzato, manca il “perché?”, “per chi?”, la classe in cui
tutti gli immiserimenti di tutti gli individui (ridotti a funzioni) acquistano
un senso".
Da questo punto di vista, si potrebbe addirittura
sospettare che l’uomo abbia inventato la catena di montaggio e il lavoro di
squadra taylorista come ulteriori ri-medi alla propria incapacità di viver-si
in quanto individuo, persona. E non invece, come la storia, soprattutto
novecentesca, sembra suggerirci, che quelle innovazioni siano state prodotte
dall’insistenza del progresso, dalla tecnica e dall’esigenze economiche, di
mercato. Il team working quale frutto
della narcolessi, della persistente voglia di comodità! Un nuovo de-vertimento buono esclusivamente per stordire l’umano
richiamo all’individualità.
Che cos’è la specializzazione, la
parcellizzazione di ciò che l’uno sa fare, la frantumazione di ciò che l’uno è,
se non, appunto, il contrario della volontà di essere autonomi, uomini interi? Un uomo che
vorrebbe tendere all’autonomia (l’unica ormai quantificabile, e quindi
esistente, sembra essere diventata quella economica) nel nome di una sempre più
“voluta” dipendenza: essere autonomi implica uno sforzo, e anche l’indipendenza,
lo dice il termine stesso, si conquista attraverso le rinunce.
Avremmo pure ucciso dio e tutti gli dei del
firmamento, come annunciato da Nietzsche, ma la voglia di sottoporsi a degli idola ed essere dipendenti, schiavi, non
pare averci ancora abbandonato. Gli abbiamo solo cambiato nome, sostituendo il
monoteismo d’ascendenza divina con un politeismo laico, fatto di plastica,
metallo e vapore, di oggettività e di ideali.
Team
working: alimentando la persistente fede nelle menzogne che lo consolano
dalla sua insensata esistenza, quest’uomo confida che assieme agli altri possa
trovare finalmente una direzione da seguire.
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