“Timeo Danaos et dona ferentes” (temo
i Greci e i doni che portano). Così Laocoonte ammoniva i troiani di non far
entrare il cavallo di Troia nelle mura della città. Ora, dopo più di duemila
anni, sono invece i greci in crisi a dover temere i “cavalli di Troika”.
Per il popolo
allineato ai Barilla del potere che credono ancora alla macchietta del greco
sfaccendato e fannullone, salvo poi andare a svernare in qualche isola
dell’Egeo - ma solo per portare il proprio contributo all’economia ellenica
in scatafascio -, sarà forse utile, inizialmente, fare una blanda retrospettiva
sulla patria di Omero e sulla sua crisi economica (ad esempio: il rapporto tra spesa pubblica e Pil, in Grecia,
è minore rispetto a quello della Germania. Altra cosa sono invece l’aver truccato
i conti per entrare nel club EU – in realtà col consapevole silenzio di
tutti -, e la corruzione dilagante – anche per l’accondiscendenza di
qualche capitano d’industria dell’Europa “bene” -. E’ nota, in tal senso, la
vicenda delle mazzette elargite a qualche politico compiacente dal colosso
Thyssen Krupp per l’acquisto di sottomarini tedeschi… poi è parimenti vero
che la spesa militare in Grecia è superiore anche alla nucleare Francia, ma qui
sono in tanti ad avere i propri interessi. Amen.).
Dopo il referendum farsa del 12
luglio scorso e le prime tranche di aiuti “gentilmente” offerti dalla Troika (86
miliardi) per la
ricapitalizzazione delle banche e per mettere al riparo i creditori della
sgangherata Grecia, siamo di nuovo punto a capo.
La disoccupazione resta al 25%, il
debito è ancora al 176% del prodotto interno lordo, il Pil è calato anche nel
2015 dello 0,2% (prevista una contrazione dello 0,6% anche per il 2016). E ripartono così i rastrellamenti di liquidità,
questa volta dalle casse del Parlamento, della sanità e degli enti locali. In
questo contesto economico rinvigorito dall’austerità curativa della Troika, lo
Stato greco ha già provveduto a “requisire” i fondi delle scuole, degli
ospedali, del Parlamento, e dell’Agenzia per l’occupazione, per un totale,
pare, di circa 500 milioni di euro già depositati nei forzieri della Bank of
Greece (per scongiurare un’altra crisi di liquidità e per riuscire a pagare
pensioni e stipendi pubblici). Più verosimilmente, per dirla col Commissario
agli affari economici, Pierre Moscovici: “serve a dare certezza ai creditori”.
Cioè a loro stessi,
dato che, ormai, l’esposizione bancaria nei confronti della Grecia è risibile
rispetto a qualche tempo fa (altra cosa sono invece i debiti privati, quelli sì,
lievitati dall’inizio della crisi economica in tutta l’Eurozona).
Per dirla
sommariamente: io presto altri soldi a un insolvente perché poi mi
restituisca i debiti già accumulati con gli interessi. Una follia, un po’ come
se per curare un drogato gli somministrassimo altra droga.
E intanto
l’intera Grecia che deve pagare un debito impossibile da pagare è in
saldo. Privatizza, vende, anzi svende. Partendo dal suo asset strategico più importante, il
porto del Pireo, venduto a Cosco, per passare poi a qualche isola e
all’affitto di 14 aeroporti regionali al gestore aeroportuale
tedesco Fraport (Corfù, Kos, Rodi, Salonicco, Santorini e Zante).
Ma d’altronde, anche dopo l’assassinio di Giovanni Capodistria, le grandi
potenze europee decisero d’istaurare un nuovo governo monarchico affidandolo al
bavarese Ottone di Wittelsbach.
Almeno nel lontano 1843, il popolo greco poté imporre a quel re tedesco di concedere una Costituzione, ora invece temo che non sappia più nemmeno chi prendere a pedate.
Almeno nel lontano 1843, il popolo greco poté imporre a quel re tedesco di concedere una Costituzione, ora invece temo che non sappia più nemmeno chi prendere a pedate.
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