Il razzismo è vecchio quanto l’uomo.
Esso però non è solo la conseguenza della convinzione sulla purezza etnica di
un determinato popolo, che proprio in virtù di un’autoreferenziale supremazia
rispetto agli altri sente nel suo diritto il dovere di dominarli e usarli per i
propri pelosi comodi. Questo è il razzismo a tinte “classiche”, quello dei
conquistadores e della moralità a stelle e strisce che hanno sterminato gli
indigeni e i nativi americani; quello neocolonialista del “fardello dell’uomo bianco” kiplingiano (il premio Nobel figlio di
funzionari coloniali che voleva portare il progresso a quei popoli “mezzo demoni e mezzo bambini”); quello
eugenetico dell’Unione americana, ripreso da Hiltler per le sue campagne di
sterilizzazione in favore della razza pura e contro tutte le "vite indegne di essere vissute" (aktion t4) sino all’esacerbazione
che portò successivamente alla “soluzione finale” e al genocidio degli ebrei.
Eppure, sotto a quelle mostruosità vi era pur sempre un’idea, per quanto
deformata e disumana. Una concezione “ideale” del mondo che è stata
totalmente squalificata ed eliminata dalla sconfitta della Germania nazista
(dalla sconfitta e non dalle sue orribili barbarie).
E così, quasi magicamente, giacché il razzismo “storico” è diventato da quel momento innominabile ed impraticabile, lo si è fatto subdolamente rinascere sotto la forma della sempre nota “cultura superiore”: quella che ha il diritto e il dovere di rendere partecipi, anche attraverso l’uso giustificato della forza, gli altri popoli al proprio benessere e alla propria civiltà. Un razzismo altruista, quello contemporaneo, che pretende d’insegnare le buone maniere agli altri, ma solo per il loro bene! …una fondamentale differenza col passato sta in questo: una volta il commerciante cosmopolita doveva/voleva ingraziarsi i clienti “indigeni” (per poi colonizzarli, magari, se non ci riuscivano con le buone, usando maniere eclatanti, come con le guerre dell’oppio in Cina o col bombardamento statunitense del Giappone), oggi invece egli va già con la scontata arma del rovesciamento del rapporto merce-cliente (“la merce ha sempre ragione” è il nuovo mantra nel mondo dei servizi commerciali, o ancor meglio, “il cliente è merce ed ha sempre ragione”… se si vogliono fare i soldi!), e chi possiede la merce è il sacerdote della vera ortodossia in cui ha fede la società odierna, una fede che è d’uopo accettare il prima possibile, visto che tutti sanno che è vincente!
Laddove il razzismo “classico” si accontentava quindi di dominare un popolo o una razza per conservare e salvaguardare la propria presunta “purezza” etnica, oggi, nel libero “migliore dei mondi possibili”, il democratico integralista pretende invece di omologare l’altro, di renderlo uguale assimilandolo. Paradossalmente, il razzismo “di primo pelo”, dovendo giustificare lo schiavismo e l’eliminazione, anche fisica, di coloro che riteneva esseri sub umani, ne riconosceva così, seppur in maniera distorta, le diversità. Oggi le cose sono invece cambiate senza tuttavia migliorare sensibilmente. Se da una parte è pur vero che non ci sono più le ideologie che hanno causato milioni di morti nel corso del Novecento, dall’altra però forse abbiamo semplicemente sostituito quelle ideologie razziste con un pensiero che vuole comunque eliminare tutte le razze per crearne una sola. Una sorta di razzismo globale a cui non servono più le differenze per giustificare la propria bontà di fronte al mondo. Cos'è buono oggi? - Il mercato unico che vuole livellare ogni uomo a consumatore -.
E così, senza accorgercene, ché il razzismo è anche la modalità con cui una società percepisce sé stessa, siamo passati da un razzismo basato su un’identità, quantunque malata, ad un razzismo basato sulla sua totale assenza. Antropologica, direbbe forse qualcuno, in virtù di una presenza identitaria mercificata e misurabile finanziariamente (il denaro, in fondo, non puzza!).
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