Qual è il
senso dell’uomo e del mondo? Essere misurato!
E quando desideri
ridurre ogni cosa ad un oggettivo assoluto quantificabile, vien da sé,
cominci col proposito di trovarti tra i superdotati certificati dall’unità di
misura, ma poi finisci sempre, ineluttabilmente, per scoprirti nella colonna di
destra, quella dei minidotati petit
bidois (“io ho una felicità lunga tot.”; “io, invece, sono felice
tot più x”; “io sono infelice una cifra”).
Est modus in rebus! La ricetta “quattrostagioni” per il controllo dell’ecumene è sempre
quella d’illuminare l’ignoto per poterlo poi porre sotto l’occhio rassicurante
del quantitativo (dallo sguardo galileiano dell’es-perimento all’esprit de géométrie che, oggi, tutto governa rischiarando).
I mattacchioni del Word Happiness Report – Rapporto mondiale
sulla felicità – hanno provato a soppesare l’eudemonia del
globo terracqueo, puntuali come un treno giapponese, anche quest’anno.
Cos’è?
Giochi senza frontiere. Una sfida tra 155 Paesi, che gareggiano su un
sedicente deus felix, al fine di decretare il Luogo più felice al
mondo. Questo rapporto patrocinato dalle Nazioni Unite (pare non abbiano
nulla di meglio da fare) mette così in fila, dopo accurate rilevazioni, i
migliori tra i contendenti.
Come vengono misurati i “contentoni”?
Gli oggettivi parametri a cui sono sub-jecti i competitor, sono
limpidamente offerti dall’autoreferenziale scientificità che tutto
abbraccia.
Le classifiche
si basano su sei fattori “certificati”: il prodotto interno lordo pro capite,
la speranza di vita, la libertà, la "generosità", il sostegno sociale
e l'assenza di corruzione nel governo o negli affari (ergo, la “vera” felicità,
come mostrato pure dal Nobel Deaton qualche tempo fa, deve richiamarsi primariamente a paradigmi economici. D’altronde,
se stiamo parlando di eudemonia, dovremmo sempre attribuirla ad un “demone” che
ne orienti le fila…).
Chi ha vinto
questa happiness Champions League?
La Norvegia
(“nonostante i cali del petrolio” - commentano gli esaminatori) è il paese
più felice al mondo, facendo un balzo in avanti di tre posizioni rispetto
all’anno scorso (calciomercato azzeccato?) e spodestando sul primo gradino del
podio la Danimarca, che aveva tenuto il primo posto per tre degli ultimi
quattro anni. A completare la top ten
sono, in ordine, Islanda, Svizzera, Finlandia, Paesi Bassi, Canada, Nuova
Zelanda, Australia e Svezia. Gli Stati Uniti si classificano 14esimi, perdendo
un posto dall’anno scorso, mentre l’Italia sale dal 50esimo al 48esimo posto.
I paesi
scandinavi che hanno dato i natali anche a Munch, quelli della green economy imperante (le
porcate, vedi inquinamento, le portano “lontano dagli occhi lontano dal cuore –
verde! -” – Ikea et H&M in fabula), quelli dal super-welfare state socialdemocratico (nato e
cresciuto su presupposti eugenetici e attraverso la sterilizzazione del
“diverso” che non si “progressivizzava” – fino al 1976), vincono ancora.
Del resto, i civili
popoli del Nord, in questa speciale graduatoria meritoria, sembrano giocare in
casa.
La diplomatica
e Premio Nobel svedese, Alva Myrdal, diceva che l’obiettivo sociale da
perseguire era quello di “raggiungere un concetto di qualità umana assoluta e
determinata oggettivamente”, attraverso l’”elevazione qualitativa del materiale
umano”.
Insomma, gli scandinavi sembrano essere
partiti in anticipo nella volontà di ammansire l’incommensurabile variabile
uomo per ridurre quell’angoscia ad un sorriso allo xilitolo, e oggi raccolgono i munifici frutti di quella “progressista”
crociata pro “materiale” umano (povero Bergman!).
Inutile,
quindi, interrogarsi sul perché la classifica non tenga conto del materiale di
scarto e degli uomini difettosi: quei popoli del Nord primeggiano nei suicidi
e nell’eutanasia, oltre che nel consumo di antidepressivi (ma cosa vuoi,
se i clienti delle puttane vanno in galera e il macho sul bus diventa un
problema per il femminismo al potere; se sculacciare un bambino è reato – solo
lo Stato può educare “giustamente” –; se l’80% delle partorienti
svedesi va a figliare in una sola clinica vicino a Stoccolma; se i transeunti “vecchi” vengono lasciati soli
dai loro figli ex “cciovini” super-emancipati, per essere presi in carico dal “famigliar-hegeliano”
Stato: “i bambini devono essere liberi dai vecchi”, dice il rapporto degli anni
60 che ha influenzato l’intera vita sociale svedese, perché altrimenti la
libertà conquistata non darebbe alcuna felicità… meglio il “liberarsi dalle
scarpe vecchie”).
“C’è un sacco
di capire” – diceva un semi-analfabeta che non riusciva a comprendere la
portata ermeneutica del suo intercalare.
Sforziamoci
allora di riempire, come quelli che imprigionano tutto in formule scientifiche, quel sacco col "capire".
Cosa metteremo
in quel sacco vuoto?
Per ora, l’aver
capito che si può convertire ogni cosa al
righello e la nozione di “felicità alla moda”, quella che, oltre
agli oracoli economici, si riferisce al concetto di una libertà
deresponsabilizzante che già Stirner aveva ben fotografato: “se tu fossi libero da ogni cosa, non avresti
per l’appunto più niente”.
1 commento:
Molto condivisibile. Anche in Italia una delle regioni più "felici" economicamente parlando, il Trentino, ha un altissimo tasso di suicidi, in particolare di giovani. Io non mi trasferisco né in Trentino e neppure in Norvegia, sto bene dove sto e continuo a pensare che la felicità, così come tutto ciò che riguarda l'animo umano, sia "incommensurabile"...
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