Dopo il più 27mila per cento di voucher
erogati dal 2008 ad oggi, anche le premesse per un proficuo 2017 non sembrano
essere niente male.
Siamo comunque ancora nei paraggi delle
Erinni del lavoro, qui però
non nella loro veste ufficiale, paludata dalle salvifiche “riforme strutturali”,
bensì nella versione ermellinata dei giudici della Corte di Cassazione (smentendo una precedente sentenza della Corte
d’Appello. Ah, per gli ottimistoni che vedono rose e fiori anche nell’Ade,
andrebbe ricordato loro che, tra i compiti della Corte di Cassazione vi è pure
quella “nemofilattica”: armonizzare l’interpretazione bizantina della
giurisprudenza made in Italy, una sorta
di competenza che ha valore “costituzional-legislativo”).
Recita, a tal proposito, la sentenza 25201 del dicembre scorso: “il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non dovrà più essere
considerato la extrema ratio, ma uno dei possibili sbocchi dell’autonomia
organizzativa e decisionale dell’imprenditore sottratta al vaglio del giudice
del lavoro”.
In altre parole, se ne avranno
probabilmente a male quelli che: “ciò un posto a tempo indeterminato ed è
sicuro, me l’ha detto miocuggino”, l’imprenditore di turno, filantropo a modo
suo, potrà, d’ora in avanti, decidere di operare un “taglio lineare” alle
risorse umane per aumentare la redditività e il profitto. Un altro passo
avanti dopo lo “strutturale” bye bye al vetusto articolo 18 e alla precarizzazione
progressista del lavoro. Il tutto, dicono quelli bravi, è solo per il bene del
lavoratore "minorenne".
Bisogna infatti adeguarsi al mondo che
cambia, velocissimamente, in ossequio alla competitività
verso chi viene pagato con un pugno di riso al giorno (da chi sia formato poi
quel mondo iperdinamico, un maelström vorticoso da cui l’uomo viene sputato se
inadeguato, ché incapace di stare al passo col mulinello globale, non è dato di
sapere. Sarà forse solo colpa nostra, che siamo miopi antistorici conservatori,
nipotini di de Maistre che non sanno vedere l’enorme opportunità da cogliere, disfattisti
nemici del “migliore dei mondi possibili”).
Ovviamente, commenteranno poi gli stessi
esperti dell’eco e gli ultras delle riforme n’importe quoi, tutto ciò servirà per aumentare gli investimenti
delle aziende, e quindi anche la competitività, e infine pure, se proprio
avanza qualcosina, i posti di lavoro
– ammesso che questi nuovi lavoratori al passo coi tempi (aka flessibili) vogliano un po’ bangladeshizzarsi per
essere opportunamente “convenienti ed assunti” - .
L’aumento delle possibilità di licenziamenti non è solo l’ennesimo
mortifero colpo alle tutele dei lavoratori e, sia detto innocentemente di
passata, anche a quell’articolo 1 della Costituzione che pare sempre più una
burla buona per i gonzi che ancora ci credono, ma è soprattutto un placet - che arriva direttamente dalle istituzioni democratiche - che autorizza ad un selvaggio laissez
faire.
Siamo al liberi tutti, svisato, urlato senza più alcun pudore: prima viene il capitale!
Anche lo Stato, adottando la medesima gerarchia valoriale di un capitano d'industria, sembra comportarsi come un privato qualsiasi e così, con la sentenza della Corte di Cassazione, anche “l’unità minima marginale” diventa parametro legale e il profitto viene
definitivamente reificato a dominus
fondante, valore ex lege a cui
sacrificare il welfare, i sedicenti patti sociali, i diritti acquisiti e
l’intera convivenza umana.
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