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martedì 15 novembre 2016

Foodora la pillola

Le filantrope intenzioni della tedesca Foodora sono state equivocate. La colpa è di qualche ingrato, irriconoscente che non crede al progresso sociale ed economico, che non ha fiducia nella nuova frontiera della smart economy, tristemente abbarbicato a quell’ormai vegliarda economia improduttiva, destinata ad una rapida discesa di rating. Eppure le ragioni di Foodora erano davvero buone. Organizzare allegre scampagnate all’aria aperta, incoraggiare biciclettate per promuovere quel salutismo tanto caro all’uomo delle beauty farm e delle palestre (meglio se cantando in coro: Foodora et labora).

Ma qualche disadattato lamentomane storce il naso, bofonchia, e chiede pure di essere ben pagato da chi gli concede la possibilità di mantenersi in forma.
I biker di Foodora sono solo l’ultimo tassello che compone il variegato mosaico dei lavoratori a cottimo: impiegati dei call center, addetti ai servizi di pulizia, giornalisti freelance, braccianti agricoli. Un mosaico di lavoratori che non si accontentano di avere un posto di lavoro in un periodo di crisi come quello odierno, ma pretendono persino di sottrarsi a quella “dieta” capitalista che Marcuse aveva ben fotografato: “quando si può imbrigliare e misurare il rendimento del lavoratore in rapporto ai pezzi lavorati e pagarlo a cottimo, allora si può parlare di industrializzazione in senso moderno”.


Così come durante la Rivoluzione industriale, anche i moderni lavoratori della new economy vengono nutriti, ma da improbabili passatempi non pagati, promesse di opportunità e finte speranze, e proprio come quei “fortunati” antenati delle manifatture inglesi, talvolta possono ricevere pure un po’ di denaro.

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