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martedì 28 giugno 2016

Grecia outlet: svendita totale per liquidazione e rinnovo Troika

Timeo Danaos et dona ferentes” (temo i Greci e i doni che portano). Con queste parole il perspicace Laocoonte consigliava ai dardani di lasciare il cavallo fuori dalle mura di Troia. Ora che l’ethos virgiliano è stato rimpiazzato dalla teologia economica favorita da quel verminaio di sciacalli adulanti l’ortodossia del capitale, sono invece i greci a dover temere i “cavalli di Troika”, e con loro anche i nuovi imparruccati e i cortigiani delle tecnocrazie economiche.

E così, dopo i rastrellamenti di liquidità dalle casse del Parlamento, dalla sanità e dagli Enti locali, dopo aver provveduto a requisire i fondi delle scuole, degli ospedali e dell’Agenzia per l’occupazione, la Grecia spossata dalla perversa logica dell’austerity si prepara a smobilitare definitivamente, vendendo, o meglio svendendo, larga parte di quel patrimonio pubblico che ancora possiede. 
Un’“immane raccolta di merci”, per dirla marxianamente, messa in vetrina grazie alla creazione di un “Fondo” che dovrà gestire l’alienazione di più di 71.000 pezzi di proprietà pubblica, i cui profitti verranno poi utilizzati per l’abbattimento dell’insostenibile debito pubblico e per la ricapitalizzazione delle banche.
Meglio noto come “il Fondo”, l’Hellenic Republic Asset Development Fund, è il pasticciato risultato degli accordi che hanno sbloccato l’ultima tranche di 10,3 miliardi di euro prestati dalla Troika per “aiutare” l’insolvente Grecia a ripagare i suoi creditori. Le ragioni di tale scelta sono evidenti, le svela, senza troppi giri di parole, anche il Commissario agli affari economici e monetari Pierre Moscovici: “serve a dare certezza ai creditori”. In tal senso, non sarà forse una coincidenza se la creazione del mistico “Fondo”, l’ultimo atto di subordinazione del Governo Tsipras ai desiderata della Troika (Commissione Europea, BCE, FMI), è stato promossa proprio dalla BCE e dal FMI, che sono, guarda caso, due tra i creditori maggiormente esposti con Atene. La solita partita di giro a somma zero.

Costituito anche per stuzzicare il bulimico appetito dell’homo oeconomicus e del facoltoso consumatore onnivoro, il “Fondo” per la privatizzazione degli asset ellenici è persino consultabile comodamente online, da casa, quasi fosse una bella piattaforma di e-commerce, un outlet virtuale ove scegliere i prodotti migliori a prezzi stracciati.
Il catalogo è ricco ed interessante. Tra le merci in saldo figurano più di 500 isole, centinaia di chilometri di costa, hotel, campi da golf, siti olimpici, le proprietà storiche nell’antico quartiere di Plaka, a ridosso dell’Acropoli, enti e titoli bancari di proprietà pubblica.
Se a questa “liquidazione per chiusura attività” aggiungiamo poi che anche il 73% del porto strategico del Pireo è passato nelle mani della cinese Cosco, e che la gestione di 14 aeroporti regionali è stata affittata al gruppo tedesco Fraport (tra i quali: Corfù, Kos, Rodi, Salonicco, Mykonos, Santorini e Zante), potremmo facilmente tratteggiare le proporzioni della totale smobilitazione che restituisce al popolo greco le briciole di uno Stato retrocesso velocemente a feudo, a zona franca per i rapaci interessi del neoimperialismo finanziario-mercantile.

Grecia in svendita


Ciononostante, Stergios Pitsiorlas, il Presidente del “Fondo” per la privatizzazione, opportunamente intervistato dal Guardian, fa orecchie da mercante sfoggiando i pervicaci panni del pompiere: “vendere non coinciderebbe anche con una perdita di dignità del popolo greco” -  e continua nel suo intercalare – o comunque è meno grave dell’“essere costretti ad affidarsi ai prestatori stranieri”. Perché, “se si vuole davvero aiutare i lavoratori, smettendo di tagliare salari e pensioni alzando contemporaneamente le tasse, bisogna trovare i soldi”.
L’avvocato di sinistra Pitsiorlas sembra “ciurlare nel manico”, eppure non dovrebbero servire le acrobazie dadaiste di un fine economista bocconiano per comprendere ciò che il semplice bottegaio de La Peste di Camus, Monsieur Cottard, riuscì a capire subitaneamente: “i grandi divorano sempre i piccoli”. Ma ormai anche la spicciola logica contabile non trova più asilo nelle demenziali elucubrazioni del capitale libero. Anche la “ragioneria” è ormai diventata un soffocante vincolo per le irragionevoli pretese tecnocratiche assolutizzanti la realtà: io presto altri soldi al debitore insolvente perché poi mi restituisca i debiti già accumulati con gli interessi. Una follia. Un po’ come se per curare un drogato gli somministrassimo altra droga: “drogare ulteriormente il cavallo già dopato perché faccia ancora qualche passo prima di schiattare”, utilizzando le parole di Massimo Fini.


Alla fin fine, la spartizione di ciò che rimane della destrutturata Grecia sembra solo il riflesso della proustiana mémoire involontaire, un flashback già visto, un ricorso storico: anche dopo l’assassinio di Giovanni Capodistria, le grandi potenze europee decisero d’infeudare un nuovo governo monarchico affidandolo al bavarese Ottone di Wittelsbach. Tuttavia in quel lontano 1843, il popolo greco poté almeno imporre al nuovo re tedesco di concedere una Costituzione, ora invece, sfibrato e disorientato, è probabile che non sappia più nemmeno chi prendere a pedate…

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