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giovedì 30 giugno 2016

Calenda, il Ttip e il vuoto democratico

La politica e il fato dell'umanità vengono forgiati da uomini privi di ideali e grandezza. Gli uomini che hanno dentro di sé la grandezza non entrano in politica
A Camus

Il Presidente dell’iperbolico dinamismo, futurista del vapore, del fare a qualsiasi costo, “tanto per fare”, è riuscito, a suon di spasmi e piroette istituzionali, persino a “cambiare verso” al celebre adagio popolare - una ne pensa e cento ne fa -.
Il Premier Renzi rantola, decide, stabilisce compulsivamente, ma non sono sempre chiare, a dirla tutta, le cause che presiedono ad un decisionismo che sembra ormai solo una macchietta da sponsorizzare, un tic improvvido, un proustiano riflesso involontario.

Di Renzi, Max Weber avrebbe forse potuto dire che non si riesce a vedere la “dedizione appassionata ad una causa”. Non si capisce, insomma, dove voglia andare a parare il Premier. Almeno fino a qualche tempo fa.
Infatti, tra le tante sparate, si capiscono forse meglio di altre volte, i motivi della nomina di Calenda ai vertici del Ministero dello sviluppo economico dopo il forzato addio di Federica Guidi: sparigliando come al solito i protocolli a favore del sensazionalismo, Renzi ne ha annunciato in diretta tv la nomina
Gaudium magnum” per l’ex vicedirettore del Mise, l’uomo che “ha già guidato la macchina”.

TTIP democrazia

Ma con la nomina, però, comincia anche a diradarsi il sottile velo di Maya.
Non sarà forse un caso, allora, se tra i tanti skills che può vantare Calenda, c’è anche quello di essere un fervente e devoto sostenitore del trattato di libero scambio Usa-UE, il Ttip. Una cosa su cui il Governo dem. non scherza affatto.
Sembra anzi che voglia appiccicarci il suo imprimatur, garantendo “l’appoggio totale e incondizionato del Governo”, come dichiarato dallo stesso Renzi al termine della giornata di dialogo sul Ttip, organizzata guarda caso proprio dal primo tifoso Calenda.
Ma il Ttip, come trapela da qualche addetto ai lavori, non sembra esattamente essere un contratto sociale rousseauiano di specchiata ispirazione democratica.
Nulla di sconvolgente se anche il nuovo Ministro della Repubblica, come molti suoi dirimpettai nominati, sembra avere le idee confuse su alcuni concetti basilari, da bignami democratico. A meno che non si tratti dell’ennesimo esemplare che trova vantaggioso non disturbare il manovratore, perché solo lui, in fondo, sa cos’è meglio per il minorenne popolo bovino. I
E intanto l’arcano Ttip sembra realizzare quella “post democrazia” teorizzata da Crouch, ove a scapito delle istituzioni e delle norme democratiche, il mondo viene governato da lobby, corporations e società transnazionali senza scrupoli.

Ormai la democrazia che funziona, ce lo dicono i Monti, i Tusk, e gli Shultz variopinti, dev’essere amministrata lontano da occhi indiscreti, nelle stanze demoplutocratiche ove non vengono garantite la “res publica” e il principio di rappresentanza, bensì la sostenibilità del carrozzone sovrastrutturale prono ai desiderata del capitale.
E così anche l’enfant prodige Calenda può candidamente dichiarare da Bruxelles, che gli accordi di libero scambio Usa-Ue “sono fondamentali”, e non è possibile farli saltare esclusivamente per il voto negativo di uno tra i Parlamenti dei Paesi membri.

Calenda probabilmente non lo sa, o finge di non saperlo, come ha dimostrato di non saperlo la nomenklatura dei burocrati dell’euro allergici ai Parlamenti e ai referendum, quando hanno somministrato senza colpo ferire il Trattato di Lisbona o il Fiscal compact, ma almeno per il momento siamo ancora all’interno di un imperfetto sistema di democrazia rappresentativa, benché si stia facendo di tutto per svuotarla e prosciugarla, nel tentativo di eliminare definitivamente ogni impedimento a quel “buon governo” che deve funzionare sempre a pieno “regime”.
Accontentiamoci quindi dell’evidenza. Se non altro, alcuni sedicenti democratici dimostrano di servire palesemente un certo tipo di totalitarismo dem-oligarchico, che non vuole essere disturbato da barocchismi e inutili cornici di forma.
Figuriamoci se le forme sono poi quelle da sgrezzare del popolino, della plebaglia, o dagli Stati nazionali in asburgico declino.

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