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venerdì 1 aprile 2016

La rivoluzione del popolo?

Lo annunciava già Nietzsche nella sua Genealogia della morale, l’”odio nato dall’impotenza” si manifesta spesso in crudeltà ed efferatezza. I non privilegiati, risentiti verso la ricchezza e la potenza delle classi apicali, non sono infatti quasi mai animati da un ideale di giustizia o da alti principi morali, ma semplicemente dal desiderio di partecipare al godimento di quei privilegi da cui sono rimasti esclusi. Vorrebbero, insomma, sostituire quegli “ordini” sociali per fare le stesse cose che nella loro condizione di sudditanza disprezzavano. Magari assumendo, come spesso accade quando i “poveri” fanno qualche passo in avanti verso il potere, un atteggiamento ancor più intransigente verso quelli che sono rimasti indietro.


L'odio dell'impotente, del popolo, è quindi spesso più pericoloso del disprezzo dei potenti e degli "arrivati". Lo si vede bene, ad esempio, anche nelle piccole realtà industriali e lavorative dei giorni nostri, ove l’operaio promosso a capo officina risulta spesso più “duro” e severo dello stesso datore di lavoro. Non è una novità, tutte le rivoluzioni democratiche, di popolo, sono infatti nate su bagni di sangue: aristocratici e contadini alleati contro borghesi, rentier e arrampicatori sociali di ogni estrazione. 

rivolta popolare

Dal 1793, ad esempio, la protervia giacobina e illuminista tentò di sterminare definitivamente la popolazione della Vandea, un po’ perché rimase lealista alla monarchia e un po’ perché voleva continuare ad andare a messa, sostenendo il clero e la chiesa romana (si stima che furono uccisi 150.000 abitanti – altre valutazioni parlano addirittura di 250.000 morti - su una popolazione complessiva di 600.000 persone! Ovviamente con tanto di annegamenti notturni di 2 o 3 mila preti refrattari nell'estuario della Loira, tant'è che uno stesso figlio dei lumi come Andrè Glucksmann la definì: "la prima Glasnost dopo i giorni del terrore"). 

Il risentimento dei “potenti” di nuova nomina era più un ferino stimolo di vendetta che la voglia di cambiare davvero uno status quo, ma solo per sostituirsi ad esso (durante la Rivoluzione si arrivarono a compiere atrocità spaventose, ad esempio, la sventurata marchesa di Lamballe, dopo essere opportunamente passata sotto le "cure" di qualche fervente rivoluzionario, venne stuprata anche da morta). Anche per questo, quando al bar o nei riottosi talk show televisivi si adombra lo spettro, e persino l’opzione, di una nuova rivoluzione popolare, nata dal basso, per la sovranità e per i diritti dei cittadini, talvolta mi viene quasi voglia di tifare per i privilegiati dagli scranni d’oro e per i conservatori imparruccati.

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