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venerdì 3 luglio 2015

Dal posto al sole al posto in fabbrica


Gli immigrati fanno concorrenza sleale ai lavoratori italiani. O meglio, gl’illuminati imprenditori che li assoldano per due euro all’ora si mettono finalmente al passo con la competizione globale che paga con un pugno di riso la forza lavoro. E il “lavoratore modello” si strugge. Se da una parte non accetterebbe mai, a certe latitudini e almeno per ora, un impiego retribuito pochi spicci all’ora, dall’altra sembra preoccuparsi perché quei lavoratori potrebbero rischiare di togliergli il lavoro. Questo, forse, il suo pensiero votato all'indipendenza: "sfrutta me e non prendere un "baluba" qualsiasi venuto da chissà dove". Ma in fondo non è colpa degli immigrati se la loro condizione di bisogno finirebbe per stuzzicare i desideri di qualche imprenditore che magari accetterebbe volentieri di sottopagare la manodopera pur di stare sul mercato e continuare così a lucrare il lucrabile.

Parafrasando il Mel Brooks di Mezzogiorno e mezzo di fuoco: “più poveri di noi sono!”, dice il disoccupato nostrano, e poiché ha perso ogni ricordo da militante di classe (quella resta solo nei loro sedicenti paladini con lauto stipendio!), li detesta in quanto li vede concorrenti nella corsa al biglietto vincente della lotteria, per diventare d’incanto anche lui ricco e sfruttatore! - Che fine hanno fatto i promessi emarginati marcusiani che dal terzo e dal quarto mondo venivano a salvarci dalla monodimensionalità esistenziale eteronoma? L’Isis coi petroldollari e i disperati che sognano di diventare ad una dimensione anche loro! -

immigrati concorrenza sleale

Come spesso accade però, ci si accorge (così recitano i più, che pure hanno studiato Marx a scuola) sempre fuori tempo massimo degli effetti causati dal libero commercio e dalla globalizzazione, e si viene pungolati da un problema, genericamente, solo quando si viene toccati nei propri interessi, in prima persona. Ma anche l’imprenditore “buono”, filantropo a modo suo, sembra struggersi. Egli, se non riesce a delocalizzare in qualche merceria umana dell’est per concorrere coi suoi omologhi più “innovativi” e al passo coi tempi (vedi Fiat, pardon, forse in giro c’è persino molto di peggio, specie oggi che sta riassumendo in Italia, seppur “polacchesizzando” i metalmeccanici renziani italiani, tutti col maglioncino trendy da indossare non appena tornano a casa) o se non se la sente di fare il furbo come qualche imprenditore che tuttavia sembra ammirare, è infatti obbligato a rispettare i contratti di lavoro nazionali. 

E’ curioso che la libera concorrenza non sia in fondo così tanto libera e vada bene solo a livello locale. E’ singolare che i coraggiosi capitani d’industria riconoscano il valore del sindacato solo se ha gli occhi a mandorla. E’ bizzarro che la lealtà sia un valore concorrenziale di un sistema che coglie i profitti da un sistema globale ma pretende, al contempo, di essere tutelato da uno Stato nazionale. 
E’ strano che a livello nazionale siano considerate sleali regole e norme che sono invece assolutamente gradite e tollerate come sacrosanti baluardi in difesa della crescita del mercato e della concorrenza su scala globale…


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