Un uomo senza qualità è fatto di
qualità senza l'uomo.
R. Musil
R. Musil
L’entusiasmo non è un argomento, né un
contenuto, soprattutto se finisce per colmare lacune per cui non si è
voluto, attivamente, fare niente. Poco prima delle 4, dopo circa sei ore di
viaggio, la Soyuz con a bordo Samantha Cristoforetti, pilota dell’aeronautica
militare e astronauta italiana dell’Agenzia spaziale europea (Esa), seguita dai
due colleghi, il russo Anton Shkaplerov e l’americano Terry W. Virts, sale a
bordo della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
E’ la prima italiana nello
spazio e vi rimarrà per quasi sei mesi. Assieme all’equipaggio avrà il compito,
tra gli altri, di compiere indispensabili esperimenti per il progresso
dell’umanità intera (tra i quali l’importante studio sulla reazione dei fluidi
nello spazio che verrà condotto sul caffè, opportunamente analizzato
nell’angolo bar allestito per l’occasione a laboratorio).
Eppure, tra le pieghe
degli svisati entusiasmi, pare di scorgere ancora il fetore delle retoriche.
Quelle, seppur a sensazione, delle “anime belle”, sempre pronte ad
indolenzirsi le mani, a plaudire e ad acclamare ogni nuovo eroe ed impresa
(chissà se lo spazio attira così tanto gli uomini perché, in fondo, è spazio
vuoto?). Ma alle “anime belle”, ai “puri e candidi gigli” di ogni epoca, non
interessa, paradossalmente, degli uomini: parlano di essi per trovare
un’umanità che altrimenti non saprebbero darsi da soli. E così finiscono sempre
per sparlare, tanto per non doversi sporcare le mani con quell’umanità così “monda”.
Preferiscono le res gestae agli
uomini in carne ed ossa, dai miti alle saghe omeriche, passando per i poemi
medievali cavallereschi, sino ai moderni polpettoni hollywoodiani, questi uomini da telenovela sono
spudorati, ché hanno bisogno di mostrare anzitutto la propria pelosa “mondanità”.
Il pudore, oggi, non è nemmeno più un valore. Non servono lauree o specializzazioni, non è necessario conoscere quattro o più lingue per procurarselo. Il pudore non è infatti questione di cultura, bensì di coscienza. Non lo si impara sui banchi di scuola. E’ invece un qualcosa di sottile, di fragile, che pertiene alla sensibilità, quella che trova la sua preferenza nel tenersi strette, per sé, le cose che sente importanti, personali, private, senza aver bisogno di sbatterle in faccia al mondo per renderle manifeste, dandole così anche un’importanza che, da sole, magari non avrebbero. Come in una sorta di Grande Fratello intergalattico, anche nello spazio ciò che non si vede non esiste. E così quel pudore sembra essere dannoso anzitutto per il pubblico, per lo show, dacché esso non vuol essere “privato” degli spettacoli personali. Anche tra le stelle c’è voglia di mondo! I depliant a colori, ad esempio, redatti dall’Esa per la missione Futura, sembrano infatti coupon pubblicitari pensati per essere esposti in un’agenzia di viaggi di provincia.
Anche il nome dell’eroina di turno, AstroSamantha, riecheggia i personaggi di qualche manga anni 80, o le imprese di una nuova saga firmata Marvel. I tweet e gli hastag poi, segni inoppugnabili dell’uguaglianza democratica, e le videochiamate pubbliche fatte alla famiglia, non fanno altro che rendere normale l’intera epopea stellare, mostrandola come tale al “pubblico da casa”. Ma lasciamo stare le retoriche. Lasciamo che a riempirsi siano esclusivamente gli orgogli di chi non ne possiede a sufficienza. Anche le star, gli eroi vincenti, i modelli da seguire, abbandoniamoli a chi abbisogna di pastori.
Io ho invece la sensazione
che i veri eroi, superstiti in un’epoca che ha paura di ogni grandezza e
diversità, non vadano cercati tra le stelle. L’eroismo non è infatti quello che
dura un solo giorno, ma quello quotidiano di chi è costretto a combattere ad
armi impari contro chi usa tutti i mezzi per arrivare ed essere così
riconosciuto dal mondo. E’ quello, specie in un periodo così bendisposto verso
la corruzione e le raccomandazioni, della rinuncia alle lusinghe, alle facili
scorciatoie e alle meschine astuzie. Quello che non bara al gioco della vita
solo per ottenere poi una pallida approvazione dalla mondanità. “Eroe”, oggi, è
quindi forse chi, non accettando queste truccate “regole del gioco”, accetta
tuttavia sé stesso. Chi antepone la propria singolarità ad un mondo che sta in
piedi esclusivamente perché vive dell’inconsistenza di coloro che vorrebbero
abitarlo.
Ma il progresso, invece, sembra correre spedito verso un mondo di professionisti, di laureati, di specialisti e qualificati, per il quale non serve, paradossalmente, essere uomini. Un mondo, anzi, in cui forse è pure d’impiccio esserlo.
1 commento:
Avrei potuto clicclare sulla casellina g+ per palesare il mio apprezzamento al post. Ma detesto questa procedura. Preferisco scrivere due parole. Credo ancora nel loro valore.
(in realtà sono 25, escluso il "g+" e quelle nella parentesi)
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